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di OTTAVIO ROSSANI
Una settimana di TREGENDA (3 – 6 novembre 2011). Nemmeno fossimo alle Maldive o in Florida, dove periodicamente arrivano inevitabili gli tsunami o gli uragani. Ora qui in Italia stiamo vivendo una tragedia simile: un territorio sommerso dalle acque piovane, con la differenza che siamo in Italia e che le nostre sono piogge più o meno normali, non tornadi. Basta una caduta un po’ alta di acqua e un territorio salta, o meglio viene coperto dal fango, con morti, feriti, scomparsi. In Liguria ormai siamo a tredici morti e tre assenti. La Liguria è un colabrodo, Genova è un campo di sterminio da bombe ad acqua. La Lunigiana è un unico singhiozzo. La provincia di La Spezia è una gruviera. Molti tentano di trovare scuse, di affermare l’inevitabilità e soprattutto l’imprevedibilità. E invece bisogna che non solo ci indigniamo davanti a tali tragedie, ma dobbiamo incazzarci e mettere con le spalle al muro i responsabili e mandarli via. Siano essi eletti inetti o funzionari inefficienti. E certo, non dobbiamo usare violenza. Mai la violenza per risolvere un qualsiasi problema. Ma il dolore dei familiari dei morti, la sofferenza dei cittadini abbandonati a se stessi, si riversino con forza su chi avrebbe potuto aiutarli a prevenire e non l’ha fatto. Ci sono responsabilità antiche e responsabilità recenti. Quelle antiche ormai fanno parte della storia deficitaria del nostro Paese: la mancanza di sensibilità verso il territorio, che poi è mancanza d’amore per la propria terra, è ormai parte integrante del carattere dissipatorio e spesso parassitario della “gens italiana”. E dico “gens italiana” perché mi fanno orrore coloro che, nordisti o sudisti, leghisti o arrivisti, scaricano la loro coscienza pensando che i responsabili abitano sempre altrove. Essere convinti che noi siamo i migliori e chi ci sta vicino è invece il disgraziato incapace, egoista, e sfruttatore delle nostre ricchezze e delle nostre intelligenze, dimostra chiaramente quanta grettezza ci connota sia a livello personale sia a livello sociale. Torniamo all’alluvione. I rischi non sono ancora stati superati. L’allarme continua in Piemonte dove non si sa ancora come si comporterà il Po, che si trova già a un livello troppo alto per lasciare tranquilli. In Liguria mentre scriviamo ha smesso di piovere, ma potrebbe ricominciare. Nessuno si è azzardato ancora a preventivare la fine della caduta di acque. In Lunigiana, attorno alle Cinque Terre, (territori che amo moltissimo, che ho frequentato in molte occasioni e per molti motivi, sentimentali e culturali, oltre che professionali), è tutto da ripulire e ricostruire. Mi fa specie ascoltare da televisioni e radio che ci sarebbe bisogno d’aiuto ma non mandano in onda nemmeno un numero per l’abituale sms per l’erogazione dell’offerta uguale a 2 euro che ormai gli italiani ogni giorno si sentono chiedere come obolo volontario (contro il cancro, contro la contro la leucemia, contro la sclerosi multipla, per non parlare di tutte le missioni in Africa), per ovviare alle inefficienze pubbliche e private. Vernazza poi era un gioiellino architettonico, naturale e ambientale: una delle insenature più belle d’Italia, con un attracco per vaporetti di quelli un po’ ridotti ma funzionali. E soprattutto con quella bella discesa al mare (o risalita, da chi arrivava dal mare), affascinante per l’impietrata, per i muri delle case che costeggiavano la strada colorati e puliti, con un architettura naturale elegante ed efficace, e dentro salivi o scendevi tra due filari di negozi, bar, ristoranti, laboratori artigianali e ti piaceva l’idea di sederti a un tavolino (dove beninteso ti serviva sempre il solito ligure scorbutico, un po’ pieno di sé): insomma un salotto naturale dove la mano dell’uomo aveva aggiunto il minimo indispensabile. Ma al di là del romantico rimpianto di qualcosa che è scomparso e che sarà difficile ricostruire come prima (temo), resta il fatto che questi disastri erano sicuramente evitabili. Bastava razionalizzare l’impegno dell’uomo in rapporto alle difficoltà del territorio. Sempre questa, in fondo, l’incapacità italiana di badare a se stesso e alla sua “casa”. L’italiano si è sempre affidato al “buon Dio”, il quale avendo dato all’uomo il bene del libero arbitrio si è sempre ben guardato dall’intervenire sulle cose che l’uomo avrebbe dovuto fare “col sudore della sua fronte” per sistemare se stesso nell’ambito di un territorio sicuro. Non voglio farla troppo lunga. Ma è legittimo domandarsi: perché i terremoti dell’Irpinia e dell’Aquila? Sono calamità naturali,è vero, ma fino ad un certo punto. Sono calamità naturali che quando accadono trovano un territorio deturpato, scavato, costruito malamente senza protezioni e senza intelligenza. È legittimo chiedersi perché tanti alluvioni continuano a distruggere questo nostro già martoriato Paese. l’Italia del Dopoguerra è costellata di tragedie con morti e dispersi: il famoso alluvione del Polesine; il disastro della diga del Vajont; l’alluvione di Sarno con lo smottamento di un’intera montagna, eccetera. L’elenco è lungo. Vi suggerisco di andare a verificare su “Il libro dei fatti”. Qui voglio denunciare la responsabilità di tutti. Dovunque in Italia si è c ostruito abusivamente, naturalmente senza strade e supporti strutturali. Alla fine tutti hanno goduto di un condono. Ora si vocifera di ulteriori condoni. Allora vi dico: per favore, indignatevi, e anzi arrabbiatevi, e protestate sul serio, se qualcuno tornasse a proporre un altro qualsiasi condono. *** Questa “Piazzetta” è nata come salotto pubblico e privato in cui ognuno potesse dire e ribattere sugli argomenti della settimana. Mi rendo conto che alla fine la situazione politica, Berlusconi, la crisi economica, hanno monopolizzato gli spazi. Non doveva essere così. Ma se la situazione si normalizzerà con un Governo responsabile e una crisi meno stringente, vi prometto che torneremo a parlare di tante piccole notizie dal mondo, forse più divertenti e utili. Intanto vi accludo un’email dove potrete raggiungermi con le vostre obiezioni o con i vostri suggerimenti.
Almeno avremo un minimo di dialogo (orossani.corriere@ottaviorossani.it])

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