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La festa, e persino con la pioggia, una festa così, fatta di migliaia di comparse, centinaia di organizzatori, servizio d’ordine, cavalli, turisti, stranieri, proprio non la puoi fermare. Sarebbe forse anche più pericoloso. «Almeno un minuto di silenzio», avevano chiesto in tanti, pensando a Mimmo Lorusso, accoltellato da un ubriaco in Germania, dove viveva e faceva carriera. Una preghiera se la sono concessa in tanti, un pensiero, un’imprecazione. La festa non si ferma mai, non si può. Un minuto però basta per raccontare lo sgomento: in silenzio, quando la Parata è arrivata a piazza Prefettura. 
A stare dietro le quinte della grande macchina organizzatrice si capiva che era diverso. «Li conosco bene, quante volte abbiamo cenato in famiglia», sussurrava il sindaco Santarsiero che di lì a poco avrebbe vestito gli abiti storici, nel quadro della Parata dei Turchi che racconta l’entrata in città del conte De Guevara. Erano più di cinque secoli fa, era tutta un’altra città. 
Anche al pranzo dei Portatori – chiassoso, giocoso, per qualcuno come sempre eccessivo, per altri appuntamento irrinunciabile – c’era chi Mimmo lo conosceva bene. «E’ assurdo, per favore, che le devo dire, non si può capire».
Chi ha voluto ha salutato Mimmo in piazza, mentre la parata passava, o più tardi, in largo Duomo, durante la veglia per San Gerardo, quando il corteo finisce e la cattedrale si apre ai fedeli. È lì che finisce il giorno della festa laica e si passa alla festa religiosa, con i portatori stremati dopo la lunga fatica del tempietto portato in spalla per tutto il tragitto. Ci si riposa tutti, portatori del Cinto o della iaccara, quel lungo fascio di canne e legno che a tarda sera viene issato in piazza del Sedile e bruciato tra danze e canti. Lo facevano i contadini nell’ottocento: Potenza ha riscoperto da qualche anno questa tradizione. Offerta ai turisti e ai cittadini dell’hinterland: in giro ce n’erano un bel po’. Accidenti, la pioggia. Comincia, poi passa, riprende. Poi smette. 
Va così, tra fatica, disagi alla mobilità, operatori sanitari in allerta, sala operativa attiva, forze dell’ordine e protezione civile schierati. Arriva anche un’ambulanza, c’è una donna che si sente male. Ma tutto funziona, la macchina va avanti.  Mille figuranti per quattro chilometri e passa di salita. L’attesa dei passanti, le lamentele per i ritardi, la pioggia battente all’avvio del corteo, «peccato ma voi fate gli scongiuri», lo sforzo enorme di chi a questo evento lavora da mesi, senza sosta, senza risparmiarsi. 
Il giorno più lungo dei festeggiamenti patronali, il 29 maggio, comincia sempre di buon mattino. Grandi pulizie e polemiche, con gli ambulanti extracomunitari stipati e senza riparo, appostati in centro, nei vicoli, nelle auto. Domani andranno via, come le polemiche per l’incapacità di accoglierli dell’amministrazione. Tra un anno – c’è da giurarci – se ne riparlerà. 
La mattina passata a montare le tavolate del pranzo e le transenne: servizio d’ordine severissimo, non si entra senza pass. Il vino, le magliette colorate, i cori un po’ da stadio un po’ della tradizione cittadina, qualche eccesso. In largo San Nicola c’è anche il pranzo organizzato esclusivamente per gli over 40. Anche lì il trittico vino, musica e cibo è lo stesso. Nel frattempo in piazza Matteotti qualche figurante in costume già passeggia, girovagando attorno ai quadri lasciati su strada dalle madonnare. Allo stadio già si lavora al trucco dei figuranti: appena cala un po’ il sole, si parte alla conquista del centro storico. La nave con San Gerardo, il tempio, i turchi, i giocolieri, i monaci, le dame. Comincia la scalata verso la cattedrale. Durerà ore di cammino a passo d’uomo. Ore di attesa per i passanti. Nel giorno più lungo, sotto il tempio di San Gerardo, la città è più o meno tutta lì, tra il corteo e la folla. 

QUALCOSA era diverso, si capiva. Almeno se il punto di osservazione della festa era un po’ più interno, tra le tavolate dei Portatori del Santo, i ragazzi dell’associazione. O nelle retrovie della Parata dei Turchi, lì dove stavano pronti a ogni evenienza gli organizzatori del corteo, gente dell’amministrazione, volontari, che da mesi pensavano a tutto. Ma una cosa così chi avrebbe potuto prevederla. Un potentino, giovane, promettente, professionista e amico di molti tra quelli in festa ucciso a Monaco, mentre era pronto a partire per tornare a casa, a trovare la famiglia. La festa, e persino con la pioggia, una festa così, fatta di migliaia di comparse, centinaia di organizzatori, servizio d’ordine, cavalli, turisti, stranieri, proprio non la puoi fermare. Sarebbe forse anche più pericoloso. «Almeno un minuto di silenzio», avevano chiesto in tanti, pensando a Mimmo Lorusso, accoltellato da un ubriaco in Germania, dove viveva e faceva carriera. Una preghiera se la sono concessa in tanti, un pensiero, un’imprecazione. La festa non si ferma mai, non si può. Un minuto però basta per raccontare lo sgomento: in silenzio, quando la Parata è arrivata a piazza Prefettura. A stare dietro le quinte della grande macchina organizzatrice si capiva che era diverso. «Li conosco bene, quante volte abbiamo cenato in famiglia», sussurrava il sindaco Santarsiero che di lì a poco avrebbe vestito gli abiti storici, nel quadro della Parata dei Turchi che racconta l’entrata in città del conte De Guevara. Erano più di cinque secoli fa, era tutta un’altra città. Anche al pranzo dei Portatori – chiassoso, giocoso, per qualcuno come sempre eccessivo, per altri appuntamento irrinunciabile – c’era chi Mimmo lo conosceva bene. «E’ assurdo, per favore, che le devo dire, non si può capire».Chi ha voluto ha salutato Mimmo in piazza, mentre la parata passava, o più tardi, in largo Duomo, durante la veglia per San Gerardo, quando il corteo finisce e la cattedrale si apre ai fedeli. È lì che finisce il giorno della festa laica e si passa alla festa religiosa, con i portatori stremati dopo la lunga fatica del tempietto portato in spalla per tutto il tragitto. Ci si riposa tutti, portatori del Cinto o della iaccara, quel lungo fascio di canne e legno che a tarda sera viene issato in piazza del Sedile e bruciato tra danze e canti. Lo facevano i contadini nell’ottocento: Potenza ha riscoperto da qualche anno questa tradizione. Offerta ai turisti e ai cittadini dell’hinterland: in giro ce n’erano un bel po’. Accidenti, la pioggia. Comincia, poi passa, riprende. Poi smette. Va così, tra fatica, disagi alla mobilità, operatori sanitari in allerta, sala operativa attiva, forze dell’ordine e protezione civile schierati. Arriva anche un’ambulanza, c’è una donna che si sente male. Ma tutto funziona, la macchina va avanti.  Mille figuranti per quattro chilometri e passa di salita. L’attesa dei passanti, le lamentele per i ritardi, la pioggia battente all’avvio del corteo, «peccato ma voi fate gli scongiuri», lo sforzo enorme di chi a questo evento lavora da mesi, senza sosta, senza risparmiarsi. Il giorno più lungo dei festeggiamenti patronali, il 29 maggio, comincia sempre di buon mattino. Grandi pulizie e polemiche, con gli ambulanti extracomunitari stipati e senza riparo, appostati in centro, nei vicoli, nelle auto. Domani andranno via, come le polemiche per l’incapacità di accoglierli dell’amministrazione. Tra un anno – c’è da giurarci – se ne riparlerà. La mattina passata a montare le tavolate del pranzo e le transenne: servizio d’ordine severissimo, non si entra senza pass. Il vino, le magliette colorate, i cori un po’ da stadio un po’ della tradizione cittadina, qualche eccesso. In largo San Nicola c’è anche il pranzo organizzato esclusivamente per gli over 40. Anche lì il trittico vino, musica e cibo è lo stesso. Nel frattempo in piazza Matteotti qualche figurante in costume già passeggia, girovagando attorno ai quadri lasciati su strada dalle madonnare. Allo stadio già si lavora al trucco dei figuranti: appena cala un po’ il sole, si parte alla conquista del centro storico. La nave con San Gerardo, il tempio, i turchi, i giocolieri, i monaci, le dame. Comincia la scalata verso la cattedrale. Durerà ore di cammino a passo d’uomo. Ore di attesa per i passanti. Nel giorno più lungo, sotto il tempio di San Gerardo, la città è più o meno tutta lì, tra il corteo e la folla. 

 

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