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Il calibro è quello giusto, ma in munizionamento no. L’arma del mostro di Firenze per quasi vent’anni ha seminato le scene dei 18 omicidi che gli vengono attribuiti con bossoli .22lr, quelli più lunghi tanto per capirci. Mentre l’arma ritrovata nel tribunale di Potenza può sparare soltanto i 22 short, più corti quasi della metà.

Com’era prevedibile ha scatenato un eco nazionale la notizia di un possibile collegamento tra la pistola scoperta tre anni orsono negli uffici dell’aliquota di polizia giudiziaria dei carabinieri di Potenza e quella mai trovata che è stata utilizzata per i 9 duplici omicidi del più famoso serial killer italiano. La ricostruzione giornalistica della Gazzetta del mezzogiorno, per quanto smentita dagli atti giudiziari, ha destato l’attenzione delle principali testate toscane e di qualcuno dei network più importanti. Non è mancato nemmeno chi ha messo in relazione il giallo sulla provenienza e la proprietà dell’arma con l’incapacità degli investigatori potentini resa celebre dal caso Claps. Per non parlare dei social network dove sono apparsi “nasi” capaci di odorare l’opera dei “servizi segreti deviati” manco fosse l’ultimo dei misteri italiani. Normale perciò che a un certo punto entrasse in scena anche uno come Enrico Manieri.

Lui da un po’ di tempo a questa parte si definisce “debunker” che sta per smascheratore di complottismi vari, come quelli attorno all’11 settembre. Ma la sua celebrità la deve a quand’era soltanto un bancario, ex ufficiale di artiglieria, esperto di balistica e giornalista, ed è stato catapultato all’improvviso al centro del processo contro il mostro come perito al servizio della difesa di Pietro Pacciani. In primo grado il contadino di San Casciano era stato condannato all’ergastolo per 14 dei 16 omicidi per i quali era imputato, ma in appello grazie anche al lavoro di Manieri è stato assolto. Quindi, il 22 febbraio del ’98, mentre aspettava un secondo giudizio d’appello dopo il rinvio deciso dalla Cassazione è stato trovato morto in casa sua. 

“L’arma ritrovata sarebbe una pistola Beretta di modello diverso da quella finora attribuita al cosiddetto Mostro di Firenze”. Spiega Manieri al Quotidiano. “In particolare, questa pistola ritrovata sarebbe camerata per la cartuccia calibro .22 short, che è completamente differente dalla cartuccia .22 long rifle, più potente, che venne utilizzata per compiere i duplici delitti di Firenze.Le diversità fra le due cartucce risiedono sia nel bossolo, che nella palla in piombo (sia per peso che per dimensioni esterne)”. Restando al repertorio delle officine bresciane Beretta la pistola attribuita al “cosiddetto Mostro” sarebbe infatti un esemplare della serie 70, versione più piccola della classica 92/98 in dotazione alle principali forze di polizia, di calibro .22lr (lo stesso modello è stato prodotto per anni anche per munizionamenti più pesanti). Pistole di quel tipo sono state vendute con la canna corta, la canna lunga e due canne intercambiabili. In aula gli unici testimoni che hanno parlato dell’arma di Pacciani hanno fatto riferimento a una pistola a canna lunga. Ad ogni modo l’arma che è stata ritrovata negli uffici dei carabinieri di Potenza non è un esemplare della serie 70 bensì della serie 950 capace di sparare soltanto cartucce calibro .22 short. 

Chiaro che stando così le cose qualsiasi confronto con i bossoli winchester con l’ “H” impressa sul fondello repertati sul luogo di tutti gli omicidi del mostro potrebbe apparire inutile. Quanto invece alla “pista sarda”  Manieri spiega che “nacque dalle indagini relative al primo duplice omicidio del Mostro di Firenze, quello compiuto nel 1968 a Lastra a Signa, in cui venne uccisa Barbara Locci, immigrata dalla Sardegna alla Toscana, dove aveva sposato un altro immigrato sardo, Stefano Mele. Le abitudini disinvolte della donna, che venne uccisa mentre era appartata col proprio amante in una autovettura, col piccolo figlio di lei di 6 anni che dormiva sul sedile posteriore, indirizzarono gli inquirenti verso il marito della stessa, che fu accusato, imputato e condannato per il duplice delitto. 

Nel corso delle indagini il marito incolpò vari amanti della donna, per poi ritirare le accuse. Alcuni di questi uomini entrarono nelle vicende dei delitti del Mostro di Firenze, fino ad essere completamente scagionati dal giudice Rotella, che chiuse definitivamente le indagini sul gruppo di sardi entro cui si pensava di poter trovare il colpevole di questi omicidi fiorentini.Fra questi personaggi spiccano due fratelli, Salvatore e Francesco Vinci, che vissero varie vicende che culminarono nella morte violenta di Francesco Vinci nel 1993 e nella scomparsa dalla circolazione di Salvatore Vinci dopo che venne assolto in un processo in cui era imputato di aver ucciso la prima moglie (morte che per anni era stata attribuita a suicidio). 

Le indagini a suo tempo svolte avevano appurato che a Villacidro, paese di origine dei sardi immigrati in Toscana, erano state vendute 11 pistole semiautomatiche Beretta che erano compatibili con quella utilizzata per i delitti del Mostro; di queste 11 pistole, una sola risultava non reperibile ed era quella a suo tempo acquistata da tale Franco Agresti, e non Stefano come compare negli articoli pubblicati in questi giorni. Agresti emigrò in Olanda, dove morì nel novembre 1963 per un incidente sul lavoro, ma la sua pistola non venne mai ritrovata e si incominciò a sospettare che potesse essere quella che aveva firmato i delitti in Toscana, portata da uno degli immigrati sardi”. Sempre una serie 70 però. Sia ben inteso. Motivi per cui Manieri dice di dubitare che l’arma ritrovata possa avere a che fare con i delitti avvenuti in Toscana.

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