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di ANGELA NAPOLI*

NON ritengo di essere in ritardo nel sottoscrivere la proposta, lanciata dal direttore del Quotidiano, tendente a dedicare la giornata dell’8 marzo a Maria Concetta Cacciola, Lea Garofalo e Giuseppina Pesce, considerato che fin dall’agosto del 2011 ho aderito al Comitato “Chi collabora non deve morire ingoiando acido”, proprio nel tentativo di rendere merito al sacrificio di tutte quelle donne che hanno inteso ribellarsi al potere della ‘ndrangheta.
E lo faccio oggi perché, negli ultimi giorni, sono stata costretta a leggere notizie che mi portano, purtroppo, a pensare che le morti di Maria Concetta Cacciola, Lea Garofalo e Tita Buccafusca non siano nemmeno servite ad aprire la coscienza di ciascuno di noi.
Già l’inchiesta che ha portato all’operazione “Califfo” del 9 febbraio e che ha ricostruito i motivi che hanno indotto Maria Concetta Cacciola a togliersi la vita, pensavo potesse spingere ciascuno di noi a meditare sul perché “chi si ribella muore”.
Pensavo, proprio a febbraio scorso, che ognuno valutasse il perché è subito pronto a divulgare attestati di solidarietà a magistrati e Forze dell’ordine quando compiono brillanti operazioni che colpiscono l’area militare delle cosche della ‘ndrangheta, e, con analoga disinvoltura, emana poi accuse nei confronti degli stessi magistrati e delle Forze dell’ordine quando questi cercano di intaccare la cosiddetta area grigia.
Quelle di Maria Concetta, di Lea, di Giuseppina sono storie tristi, storie alle quali è più che giusto dedicare la giornata dell’8 marzo, ma non vorrei venisse dimenticata la loro capacità di dire “basta”, di lottare per scrollarsi di dosso la piaga che le ha portate a diventare parte integranti di famiglie legate alla criminalità.
La “ribellione” non può più essere solo delegata a coloro che sono state costrette ad ingoiare acido o addirittura essere sciolte nello stesso: la ribellione deve trovare sede in ciascuno di noi; quella ribellione che, pur delegando agli inquirenti la ricerca della verità e della giustizia, non può prenderne le distanze allorquando gli stessi fanno emergere risultanze di inchieste che potrebbero crearci dispiacere.
La Calabria ha bisogno di maggiore coraggio: i suoi cittadini non possono più girarsi dall’altra parte e devono far venir fuori il meglio che risiede in questa terra. Occorre e riuscire a costruire una netta linea di demarcazione tra l’area della legalità e quella della illegalità.

*componente Commissione
Parlamentare Antimafia

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