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POTENZA – Un’istanza per entrare nello stabilimento con i tecnici della ditta incaricata di realizzare le “porte mobili” a chiusura dei lucernari, proprio come richiesto dal gip. Più un’altra per permettere al personale dell’azienda di restare all’interno e sorvegliare le operazioni per ragioni di sicurezza.

Le hanno depositate ieri mattina in Tribunale i legali della Siderpotenza, da cui oggi stesso potrebbero essere rimossi i sigilli dei carabinieri.

Secondo l’avvocato Nunzia Barra, che assiste il Gruppo Ferriere Nord della famiglia friulana dei Pittini, la decisione di adempiere alla prima delle prescrizioni dettate dal magistrato che ha disposto il sequestro dell’impianto non implica un’ammissione di responsabilità né la condivisione delle conclusioni dei periti della procura, ma dipende soltanto dalla volontà di riattivare le linee di produzione quanto prima. Una precisazione necessaria per non pregiudicare la posizione dei tre indagati: Marco Minnini, responsabile dello stabilimento potentino, Federico Pittini, rappresentante legale della proprietà, e la stessa Ferriere Nord spa, intesa come persona giuridica, «poiché otteneva vantaggi economici o comunque vantaggi» dalla mancata adozione di alcune precauzioni per evitare la diffusione di veleni nell’aria.

La notizia può far tirare un respiro di sollievo ai 230 operai dello stabilimento e tutti i lavoratori dell’indotto, autotrasportatori e fornitori di rottame ferroso in testa, che a breve, a scanso di sorprese, dovrebbero tornare a lavorare.

I tecnici della ditta incaricata dalla Ferriere Nord di realizzare l’intervento avranno bisogno del tempo necessario per effettuare le opportune rilevazioni. Poi il progetto andrà autorizzato e le “porte mobili” andranno costruite e installate. Difficile dire quanto tempo servirà, ma a meno di intoppi si tratta di aspettare qualche settimana, dei mesi al massimo. Quindi andrà presentata un’ulteriore istanza al gip Amerigo Palma, che già nell’ordinanza con cui sono stati apposti i sigilli sullo stabilimento aveva autorizzato «i responsabili dell’impianto e dell’azienda ad adottare con immediatezza le misure che già possono ritenersi disponibili e praticabili». In più ha precisato quanto all’«impiego e installazione» delle “porte mobili” indicate dai consulenti del pm che si tratta di una «misura alla quale deve essere subordinata la stessa facoltà d’uso dell’impianto».

In altri termini: una volta provveduto alla chiusura delle aperture sopra l’area di colata il via libera dovrebbe essere quasi assicurato, per le «imprescindibili esigenze occupazionali e lavorative del personale impiegato all’interno dello stabilimento». Quanto invece all’«aggiornamento e potenziamento dell’impianto di aspirazione ad oggi insufficiente a garantire la salute pubblica e dei lavoratori» il magistrato parla di «tempi strettamente necessari alla corretta valutazione del rischio». Perciò le operazioni potrebbero svolgersi anche in un secondo momento.

Per i consulenti incaricati dalla Procura, tra cui un chimico che nel 2008 aveva già lavorato sul caso Ilva, sarebbe stata accertata la presenza di diossina e furani nelle emissioni «diffuse» prodotte dallo stabilimento: «ossia in quelle non convogliate (nei camini) ma prodotte ed appunto “diffuse” nell’ambiente interno ed esterno dalle attività e dai processi di lavorazione della fabbrica».

A febbraio inoltre, durante un’ispezione, sarebbe emersa la presenza di diossina nei fumi che fuoriescono «dalle aperture del capannone» in quantità superiore del 74% alle soglie di emissioni consentite, più idrocarburi aromatici, temuti per il loro potere cancerogeno, e «inquinanti» vari pericolosi per la salute umana «sulle diverse matrici ambientali (aria, suolo e bioindicatori vegetali) prelevate nelle aree circostanti lo stabilimento».

L’inchiesta dei carabinieri del Noe coordinata dal pm Francesco Basentini è nata nel 2012 dalle segnalazioni di alcuni cittadini e ha preso in considerazione solo gli ultimi due anni di attività dell’impianto. Mentre restano ancora sullo sfondo questioni come quanto accaduto in tempi più lontani, o gli effetti sulla salute di lavoratori e cittadini residenti nelle aree limitrofe, in particolare Bucaletto, dove i dati raccolti a giugno dell’anno scorso dall’Arpab indicano che sono piovute diossina e altri veleni in quantità allarmanti. Si tratta infatti di un fenomeno che potrebbe aver avuto ricadute epidemiologiche drammatiche, per quanto nessuno degli enti sanitari preposti ad oggi sia in grado di fornire risposte precise, e persino gli inquirenti si mostrino molto cauti a riguardo, in mancanza di denunce e segnalazioni precise e circostanziate da parte di cittadini e associazioni ambientaliste.  

 

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