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È STATO giustiziato davanti alla chiesa dei santi Cosma e Damiano a Riace. In pieno giorno, in mezzo alla gente. Damiano Vallelunga, 52 anni, boss di Serra San Bruno, è morto in una mattina di domenica. La faida dei boschi ripartì da quel giorno. 

I killer approfittarono della devozione per il santo di cui Vallelunga portava il nome e lo colpirono il 27 settembre, davanti al santuario, mentre il boss con l’ombrello accompagnava sua moglie verso la loro auto, una Volkswagen Golf parcheggiata lì vicino. Appena la donna si sedette in auto arrivarono gli spari a bruciapelo. Poi il fuggi fuggi generale, mentre i sicari si dileguavano nei boschi. Nessuno fu in grado di riconoscerli. 

Uno dei colpi sparati raggiunse alla gola anche un venditore ambulante senegalese: per lui scattarono i soccorsi e riuscì a salvarsi. Vallelunga, invece, rimase sull’asfalto. E la faida riprese violenta. L’assassinio di Vallelunga, soprannominato il «boss dei viperari», secondo quanto è emerso dalle indagini, ha scatenato una lunga serie di omicidi e tentati omicidi, che proseguono ancora, in un’area compresa tra le province di Reggio Calabria , Vibo Valentia e Catanzaro.   

Alla faida vengono attribuite, in particolare, le uccisioni di Giuseppe Todaro, ucciso a Chiaravalle Centrale il 22 dicembre del 2009 ed il cui cadavere non è mai stato trovato; Pietro Chiefari (Davoli, 16 gennaio 2010); Domenico Chiefari (Guardavalle, 11 marzo 2010); Francesco Muccari (Isca sullo Jonio, 16 marzo 2010); Angelo Ronzello ((Monasterace, primo aprile 2010); Giovanni Vallelonga (Stilo, 21 aprile 2010); Vittorio Sia (Soverato, 22 aprile 2010), Giovanni Bruno (Vallefiorita, 15 maggio 2010); Mario Petrolo (Stilo, 26 maggio 2010); i fratelli gemelli Vito e Nicola Grattà (Gagliato, 11 giugno 2010); Salvatore Vallelunga (Brognaturo, 15 giugno 2010) e Agostino Procopio (San Sostene, 23 luglio 2010).  

Ma la sequenza di morte è continuata anche negli anni successivi. Probabilmente le vittime si possono considerare una trentina.

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