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C’È IMBARAZZO, negli ambienti ecclesiastici, per quell’onorificenza di cavaliere di San Silvestro conferita nel 2009 dal cardinale Tarcisio Bertone a Giulio Lampada, il personaggio che adesso i pm indicano come boss del clan reggino che allungava i propri tentacoli fino ad abbracciare magistrati e politici. Già all’indomani dell’operazione che ha portato all’arresto di Lampada il Vaticano si era smarcato riferendo in modo ufficioso che l’ufficio che effettua le verifiche «non è un’agenzia investigativa» e ammettendo che nel caso di Giulio Lampada «la verifica non ha funzionato» e che «può accadere che chi ha proposto il nome non fosse consapevole». Chi ha proposto il nome è il vescovo emerito di San Marco Argentano-Scalea, Domenico Crusco: è stato lui stesso a confermare quanto si comprende leggendo gli “Acta apostolicae sedis”, dove a fianco del nome di Lampada risulta tra parentesi l’indicazione della diocesi calabrese. Nel 2009 era proprio Crusco a guidare la Chiesa locale dell’Alto cosentino, dove era arrivato dieci anni prima proveniente da Oppido-Palmi. In quell’anno il presule ha presentato la rinuncia all’incarico per sopraggiunti limiti di età, che il Papa ha poi approvato nel 2010. Ma prima, Crusco ha sottoposto al Vaticano la richiesta di onorificenza per Giulio Lampada.

Eccellenza, Lampada è originario di Reggio Calabria e residente a Milano, eppure è stata la diocesi di San Marco-Scalea a segnalarlo come potenziale cavaliere.

«Sì, è vero».

Secondo la prassi, l’Ordine equestre pontificio di San Silvestro Papa viene conferito ai laici particolarmente benemeriti della Chiesa e delle opere cattoliche. Lui si era distinto per qualche gesto di carità?

«No, nessuna opera di beneficenza».

Lei lo conosceva personalmente?

«Non sapevo chi era questo Lampada, mi fu presentato dall’onorevole Morelli, mi fece vedere il suo curriculum, lo segnalò come un imprenditore che faceva del bene e quindi ebbi fiducia nella sua parola»

Franco Morelli è originario di San Benedetto Ullano, un paese della diocesi di San Marco-Scalea. Lei lo conosceva da tempo?

«Sì frequentava sempre, era molto presente sul territorio».

E nel curriculum di Lampada cosa c’era scritto?

«Adesso sinceramente non lo ricordo».

Morelli le ha presentato qualcun altro con quel tipo di credenziali?

«No, solo quel Lampada».

E fu Morelli a dirle che Lampada ci teneva a diventare cavaliere?

«Sì, io lo conoscevo poco, Morelli me lo ha presentato come persona che faceva del bene e io gli ho creduto».

Si è stupito di ritrovare il suo nome tra quelli coinvolti nell’operazione?

«In realtà io il nome di Lampada non lo ricordavo più, poi ho letto sui giornali di quella vicenda».

E quello che i pm attribuiscono a Morelli l’ha sorpresa?

«Sì sì. Perché io lo ritenevo un uomo di fede, un uomo che pregava, che andava in pellegrinaggio, un uomo che diceva il rosario e partecipava alla Messa tutti i giorni».

Morelli era anche un interlocutore politico per le parrocchie?

«Veramente nella mia diocesi non molto. Ultimamente si era interessato ad alcuni progetti per i giovani».

 

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