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I dati politici che queste elezioni amministrative in Lucania evidenziano non sono molto confortanti, né entusiasmanti. Certo, al voto erano chiamate poche decine di migliaia di persone (circa 134.000), e pochi erano i comuni di rilievo (o per rilevanza politica, o per rilevanza demografica) interessati al voto (Pisticci, Melfi, Ferrandina, Lagonegro, Lauria, Montescaglioso, Scanzano Jonico). Senza entrare nel merito qualitativo – o nella valutazione personale – il dato elettorale lucano evidenzia oggettivamente alcune anomalie assai marcate rispetto al trend nazionale: 1) un centrosinistra che, assai spesso, è maggioranza e opposizione in uno stesso comune, e che si divide intorno a leader locali di questa o di quella “corrente” regionale; 2) un centrodestra che quasi non esiste più sul territorio, e che continua a non voler analizzare le ragioni di questa esiguità elettorale; 3) la totale assenza o esiguità di movimenti antisistema e di rinnovamento che facciano riferimento a leader di rottura quali Vendola, De Magistris, Pisapia, Grillo, ecc; 4) la centralità dei personalismi “civici”, delle conflittualità e litigiosità locali, e la totale assenza di politica partitica, che è minoritaria rispetto all’appeal individualistico del singolo candidato; 5) la natura di partito moderato e di governo dell’Idv lucano, che pratica in Basilicata una politica diversa se non opposta rispetto all’Idv nazionale.

Parlare quest’oggi di elezioni in Lucania, perciò, significa parlare di una regione marginale, esclusa e ignorata dai movimenti e sommovimenti politici nazionali, forse perché i grandi cambiamenti avvengono sempre nelle grandi metropoli, dove non c’è il dramma del “conoscersi tutti”, della relazione corta (o famigliare, o “assistenziale”). In Basilicata, perciò, il dato politico-antropologico che emerge (ancora una volta) è la natura “famigliare” delle elezioni amministrative: quel dividersi e scontrarsi su faccende di cortile, su antipatie o simpatie personali, su beghe di paese, su leaderismi che nascono da attivismi personalistici.

Pur criticando io stesso da molti anni le degenerazioni dei partiti e di certe alleanze “innaturali”, mi sono convinto con l’esperienza che senza partiti e senza alleanze ben strutturate non si fa mai buona politica. E per vari motivi: 1) perché senza partiti il singolo si affida ai propri capricci e alle proprie simpatie o antipatie, divenendo autocrate anziché mediatore di interessi e di idee; 2) perché senza partiti si crea confusione amministrativa rispetto agli altri livelli istituzionali; 3) perché senza alleanze serie e complesse le giunte sono spesso ricattabili da altri personalismi, oppure sono condannate a vivacchiare nell’ingovernabilità. Tutto questo però si è consolidato nel tempo grazie a una mentalità popolare che è inamovibile, sostanzialmente, su tre gravi atteggiamenti pre-politici (che nessuno critica perché tutti temono di dire la verità): 1) votare per simpatia, per umori o per appartenenza famigliare; 2) non votare i giovani perché “non hanno esperienza”; 3) indulgere nell’errore di considerare le elezioni locali “un’altra cosa” rispetto alle elezioni politiche, e quindi ignorare i partiti e i loro programmi regionali e nazionali.

Inoltre, il tema del rapporto tra i giovani e impegno politico è di estrema e lacerante attualità, in Basilicata; e non solo per i malumori che stanno emergendo con forza da alcune zone “periferiche” della nostra regione (penso a Viggianello, a Rotonda, ma anche a Castelluccio inferiore), ma anche perché i giovani sono schiacciati da due opzioni egualmente esiziali: o mettersi “sotto l’ala protettiva di qualcuno”, ovvero di un potente regionale, oppure essere rifiutati quasi a priori per “inesperienza” o per poco realismo. Per dirla in maniera assai esplicita: in Basilicata o ci si fa guidare da chi comanda, e si aspetta umilmente ed educatamente il proprio turno, oppure ci si radicalizza su posizioni di antipolitica o di moralismo rabbioso, di chi non riesce ad analizzare criticamente degenerazioni quali il clientelismo, il personalismo, l’alta litigiosità paesana. Condannandosi in tal modo alla marginalità, e quindi alla non incisività (anche perché non va sottovalutato il dato che assai spesso la maggioranza politica di Basilicata governa sotterraneamente anche l’antipolitica, che viene irreggimentata solo quando occorre, lasciandola in altri momenti a briglie sciolte).

Abbiamo invece bisogno di una nuova politica – ma questo è solo un mio parere – che sappia fare politica conoscendone storia e regole, che conosca la centralità dei partiti, delle alleanze e del “fare squadra”. E, mi permetto di aggiungere, che sappia anche riconoscere l’avversario, senza aggredirlo con violenza oppure, all’opposto, cooptarlo, come spesso avviene in Basilicata, dove si teme assai diffusamente (antropologicamente) lo scontro politico. I giovani non devono chiedere la luna, cioè l’impossibile, ma pretendere piccoli cambiamenti quotidiani, un riformismo appassionato e concreto, chiedendo ai partiti di uscire allo scoperto. Il dramma, purtroppo, è che sempre meno giovani sanno fare davvero politica, e spesso spacciano per politica la rabbia per il sentito dire, per politica il furore che dona la propria esclusione da contesti sociali che contano. Purtroppo (o meno male) con la frustrazione non si fa nessuna politica nuova.

Siamo, com’è evidente, molto lontani dall’essere laboratorio di qualcosa di nuovo. I giovani lucani prima o poi dovranno diventare protagonisti di una nuova stagione politica, ma questo potrà avvenire (ecco quale potrebbe essere la novità lucana) non facendo leva sui risentimenti, sull’odio, sulla presunta superiorità morale o sull’antipolitica (casi De Magistris o Grillo), ma seguendo con attenzione la vita dei partiti e i loro processi aggregativi. Una politica nuova e diversa, per intenderci, che non cada nella trappola dell’antipolitica, di chi non sa o fa finta di non sapere che ogni azione umana è fatta di luci e ombre, di aperture e di chiusure, e che non tutto lo status quo è mafia, ruberia, illibertà, incapacità, ecc. Anche perché scagli la prima pietra chi non fa politica soprattutto per ambizione personale. Il tema vero, invece, è come armonizzare le ambizioni di tutti, senza creare (com’è accaduto purtroppo a Milano e a Napoli) tifoserie, cori, cittadini “buoni” e cittadini “cattivi”. In questo senso i partiti lucani dovranno iniziare a coinvolgere al loro interno personalità della società che potranno affiancare i loro processi politici, ancora troppo chiusi e oligarchici. Affinché le vittorie non siano le vittorie di Pirro, e le gioie, le sbornie di una sera. Sempre che non faccia comodo essere eternamente fanalino di coda, ultimo scolaro ben nascosto in basso nelle fotografie di gruppo.

Andrea Di Consoli

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