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ROMA – La veglia con i familiari delle vittime delle mafie che si è svolta nella chiesa di San Gregorio VII a Roma alla presenza del pontefice Francesco si è aperta nel segno della Calabria con Stefania Grasso, figlia di Vincenzo Grasso imprenditore ucciso dalla ‘ndrangheta a Locri il 20 marzo 1989, che ha rivolto il saluto iniziale al Papa.

«Ci guardi, Santo Padre – ha esordito la calabrese – Guardi ognuno di noi, legga nei nostri occhi il dolore della perdita di un padre, una madre, un figlio, un fratello, una sorella, una moglie, un marito. Guardi nel nostro volto i segni della loro assenza, ma anche del loro coraggio, del loro orgoglio della nostra voglia di vivere. Guardi le nostre mani – ha proseguito la Grasso – il loro continuare a fare. Ci guardi, capaci di andare avanti per testimoniare il loro esempio. Ma soprattutto guardi e legga nel nostro cuore la speranza di coloro che sono certi che le cose possono cambiare. Per questo – ha concluso – continuano a combattere e noi guardiamo a lei per ringraziarla di essere qui adesso, con noi, nella certezza che questo non sarà un momento ma un percorso da fare insieme: un cammino che porti pace, verità e giustizia nelle nostre vite, ma soprattutto nel nostro paese».

La Calabria era molto rappresentata all’appuntamento con il Santo padre con una nutrita delegazione fatta non solo dei familiari delle vittime della criminalità organizzata ma anche con diversi sacerdoti che hanno voluto presiedere all’evento di preghiera.

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Prima dell’intervento del Pontefice don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, ha ricordato come «le mafie, la corruzione, l’illegalità, la violenza assassinano la speranza e sono queste speranze spezzate o soffocate che oggi vogliamo condividere. non sempre la Chiesa ha prestato attenzione a un problema dai grandi costi umani e sociali – ha aggiunto – silenzi, resistenze, parole di circostanza, ma per fortuna anche tanta, tanta luce, tanta positività, tante testimonianze, dal grido profetico di Giovanni Paolo II dalla Valle dei Templi alle parole di Benedetto XVI a Palermo quando ci disse non cedete, la mafia è ‘una strada di morte’». 

Durante la lettura del lungo elenco delle vittime, ben 842, il Papa, accanto a don Luigi Ciotti, ha ascoltato con il capo chino fino a quando non è stato proclamato il Vangelo delle Beatitudini. Il Pontefice ha poi espresso «il desiderio di condividere con voi una speranza: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione in ogni parte del mondo. Ma questo deve partire da dentro, dalle coscienze. E risanare i comportamenti e il tessuto sociale. Così la giustizia si allarghi e radichi, e prenda il posto dell’iniquità. Sarò con voi – ha promesso Francesco – in questo cammino che richiede tenacia e perseveranza», aggiungendo anche gratitudine per «la vostra testimonianza perchè non vi siete chiusi ma aperti siete usciti, a raccontare la vostra esperienza. Questo è importante per i giovani». 

Francesco ha esortato alla preghiera «per cogliere la forza di non scoraggiarci e lottare contro la corruzione». Ma come il suo predecessore Giovanni Paolo II ad Agrigento anche egli non ha rinunciato a rivolgersi direttamente ai mafiosi: «Non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti di oggi ma protagonisti: uomini e donne di mafia, per favore cambiate vita! Convertitevi – ha detto – fermate di fare il male! Noi preghiamo per voi: convertitevi ve lo chiedo in ginocchio è per il vostro bene. Questa vita che vivete – ha continuato con voce profonda Francesco – non vi darà felicità, gioia. Potere e denaro che avete adesso da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, potere insanguinati, non potrete portarlo all’altra vita. Convertitevi – ha insistito concludendo Bergoglio – c’è tempo per non finire nell’inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada. Avete avuto un papà e una mamma pensate a loro e convertitevi».

Prima della benedizione finale nella veglia con i familiari delle vittime di mafia, don Luigi Ciotti ha consegnato a papa Francesco la stola che era di don Giuseppe Diana, il prete assassinato dalla camorra a Casal di Principe, di cui due giorni fa è ricorso il ventesimo anniversario della morte. Il Papa l’ha quindi indossata, impartendo poi la benedizione ai presenti

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