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POTENZA – «Sempre al tema degli appalti pilotati risultavano dedicate le conversazioni del 16 maggio 2013 e del 25 giugno 2013 in cui Corbo chiedeva a D’Amelio se era “pronto il bando per Global Service”». Tra i casi estremi emersi dall’inchiesta sul Comune di Melfi c’è anche l’appalto col nome e cognome, evoluzione di quello “su misura” a base di intercettazioni, come quelle effettuate nella stanza del capo dell’ufficio tecnico della cittadina federiciana, Bernardino D’Amelio, che hanno svelato l’accordo con l’ex assessore.
L’episodio dell’«appalto Global Service», dalla ragione sociale di una nota ditta di manutenzione di Melfi, è citato anche nell’ordinanza del gip Tiziana Petrocelli, che la scorsa settimana ha disposto gli arresti per D’Amelio, il primo cittadino Livio Valvano, gli imprenditori Emilio e Antonio Caprarella, padre e figlio, e il loro factotum Gerardo Caccavo.
«Allora, dove siamo? Global Service, eccolo qua. Allora io tengo capitolati, inviti…»
Questa è la trascrizione delle parole che D’Amelio avrebbe rivolto all’ex assessore Antonio Corbo a giugno del 2013 poco lontano dalla microspia piazzata in Comune dagli agenti della mobile di Potenza.
«No tu mi devi fare un invito… e ti servivano gli indirizzi (…) poi Lena teneva gli invirizzi, l’ha trovati? Non li ha trovati?»
Gli investigatori hanno registrato l’insistenza di Corbo, che di lì a qualche giorno si sarebbe dimesso. Fatto sta che con lui si sarebbe perso traccia di quell’affidamento. A differenza di altri annunciati e arrivati, puntuali, nel giro di qualche mese come quelli alla ditta «Di Noia». Ma il pm Francesco Basentini ha deciso di contestarli entrambi all’architetto e all’ex assessore per «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente».
Secondo il magistrato che ha condotto le indagini partite dagli affari della ditta Caprarella (già attenzionata dall’antimafia per i rapporti col clan Di Muro) D’Amelio e Corbo predisponevano «un bando di gara per lavori già predestinati all’impresa Global Service», e concordavano «le cinque imprese» da invitare alle gare per i lavori di «manutenzione delle strade, degli edifici pubblici, e della pubblica amministrazione». Quattro gare al posto di una sola, che per importo avrebbe richiesto un bando pubblico e procedure allargate a chiunque volesse parteciparvi.
«Con la suddivizione e lo spacchettamento dei predetti lavori pubblici in quattro gare d’appalto – scrive il gip Petrocelli – riferite ad altrettante aree territoriali del Comune di Melfi, regolarmente approvate – sia pure in via sperimentale – dalla giunta municipale di Melfi, è stata di fatto abbassata la soglia contrattuale dell’importo di spesa previsto per ogni singolo appalto, con la ricercata conseguenza di poter indire gare d’appalto con la formula della procedura negoziata del cottimo fiduciario e, soprattutto, di poter disporre inviti discrezionali e – per come abbiamo visto – interessati alle imprese e alle ditte locali».
Intanto è slittata ancora la decisione del gip sull’istanza di liberazione presentata dal legale del sindaco Livio Valvano al termine dell’interrogatorio di lunedì, in cui ha respinto con forza tutte le contestazioni. Decisione, da cui dipende anche la sospensione del primo cittadino, disposta dal prefetto venerdì scorso per effetto della legge Severino.
Valvano è accusato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, abuso d’ufficio (in concorso con 3 dei 4 membri della vecchia giunta) e truffa aggravata per aver approvato la variante da quasi 400mila euro per l’appalto delle case popolari di contrada Bicocca. Lavori affidati a una ditta dei Caprarella, chiedendo in cambio la realizzazione di alcuni ascensori. Quindi induzione indebita per aver fatto assumere una donna bisognosa alla ditta degli stessi Caprarella, che stava realizzando sia le case popolari sia i lavori di ammodernamento dell’istituto Nitti. E ancora abuso d’ufficio per alcuni lavori di somma urgenza affidati ex post ancora ai Caprarella. Infine turbata libertà del procedimento di scelta del contraente per un appaltino assegnato alla ditta del cognato di un consigliere comunale, Antonio Sassone, che avrebbe minacciato di non votare il bilancio.

l.amato@luedi.it

 

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