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REGGIO CALABRIA – L’ombra della ‘ndrangheta torna a palesarsi sui lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. Un’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e della compagnia di Villa San Giovanni è in corso per l’esecuzione di sei ordinanze di custodia cautelare nei confronti di presunti affiliati alla cosca Nasone–Gaietti di Scilla. Dalle indagini, coordinate dalla Dda reggina, è emersa la capillare pressione estorsiva esercitata dalla cosca su imprenditori impegnati nei lavori di ammodernamento dell’autostrada A3. 

Gli arresti sono la prosecuzione dell’operazione «Alba di Scilla» portata a termine il 30 maggio scorso con 12 fermi.   Decine, secondo l’accusa, i danneggiamenti effettuati dalla cosca sul territorio per imporre la forza intimidatrice della ‘ndrangheta. Particolarmente preziosa per lo sviluppo delle indagini, spiegano gli inquirenti, è stata la decisione coraggiosa da parte di alcuni imprenditori di non sottostare al giogo mafioso e di denunciare le arroganti richieste estorsive. 

 

GUARDA IL VIDEO CON I DIALOGHI DEGLI UOMINI DEL CLAN

 

GLI OPERAI CHE TAGLIEGGIAVANO – Secondo le accuse, anche tre operai impegnati nei cantieri erano collusi con il clan.   I tre, Francesco Alampi, Giuseppe Piccolo e Francesco Spanò, insieme a Francesco Nasone, ritenuto elemento di spicco della cosca e già detenuto dopo l’operazione “Alba di Scilla”, sono accusati di estorsione e furto aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso.   Gli operai svolgevano anche funzioni di rappresentanza dei lavoratori dell’azienda e Spanò ricopriva il ruolo di rappresentante sindacale.

Erano tutti dipendenti della ditta Santa Trada che aveva vinto un subappalto dei lavori e, secondo l’accusa, estorcevano denaro alla ditta appaltante.   In particolare i tre sono accusati di avere rubato, nell’aprile scorso, materiale da lavoro e avere danneggiato un furgone della ditta. Quindi era seguita una richiesta di denaro per la restituzione del materiale e per mettere «a posto» il cantiere. Gli operai accusati di essere collusi, che secondo le indagini si muovevano sotto le direttive di Nasone, sono ritenuti veri e propri grimaldelli che, agendo dall’interno, potevano muoversi liberamente sul cantiere, senza destare sospetti. Avvicinavano le vittime con le loro richieste che poi venivano riportate ai vertici dell’organizzazione, per concertare le modalità di intervento.   

NUOVE ACCUSE PER L’UOMO DELLO SCOOTER E LA MADRE – Con un secondo provvedimento sono stati arrestati Giuseppe Fulco, 41 anni, anche lui già detenuto dopo essere stato arrestato in flagranza di reato il primo giugno 2011, e sua madre Gioia Nasone, 68 anni, cui sono stati contestati l’associazione di tipo mafioso. Fulco, nipote diretto del defunto boss di Scilla Giuseppe Nasone, secondo l’accusa, si è più volte recato su un cantiere esigendo da un imprenditore 6.000 euro, pari al 3% dell’importo dei lavori, come condizione necessaria alla prosecuzione degli stessi. In questo caso, secondo l’accusa, la cosca ha esercitato la pressione con due danneggiamenti subiti dalla ditta nel cantiere Anas nel tratto Scilla-Favazzina sulla statale statale 18. La madre svolgeva secondo le indagini il ruolo di collante tra il figlio recluso ed i vertici del clan. L’arresto di Fusco, avvenuto un anno fa sulla statale 18, era stato filmato dalle forze dell’ordine (guarda il video) e le immagini lo ritraevano mentre arrivava con uno scooter ad un appuntamento con l’imprenditore che però lo aveva denunciato ai carabinieri.

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