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POTENZA – La professoressa si è difesa sostenendo di aver utilizzato parte dei compensi destinati ai suoi ricercatori per retribuire altri 3 docenti, che hanno collaborato al prosieguo della sua ricerca sulle risorse idriche dell’Alta Val d’Agri. Ma ieri, in Tribunale, l’unico dei 3 ancora in vita ha smentito di aver mai percepito un euro per la sua collaborazione.
E’ arrivato alle battute finali il processo all’ex capo del dipartimento di geologia dell’Unibas Albina Colella.
La professoressa, nota per le sue denunce contro l’inquinamento collegato alle estrazioni petrolifere in Basilicata, è accusata di essersi appropriata di una quota dei fondi di un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Basilicata con risorse europee. Per questo alla scorsa udienza si era difesa con decisione, ammettendo di aver rendicontato la fine delle operazioni entro il termine stabilito anche se così non era. Per scongiurare il rischio di perdere l’ultimo stanziamento. Mentre in realtà avrebbe proseguito le attività con una piccola riserva “in nero”, di circa 100milioni di lire, costituita con i soldi versati «volontariamente» da alcuni contrattisti, che li prelevavano dal loro assegno di ricerca.
Tra le attività portate avanti ci sarebbe stata una collaborazione con il professore Salvatore Critelli, ordinario del Dipartimento di scienze della terra dell’Università della Calabria. A lui e ad altri 2 noti docenti della materia la professoressa ha raccontato di aver distribuito circa 90milioni delle vecchie lire. Pagati anche questi sostanzialmente “in nero”. Ecco perché il collegio del Tribunale di Potenza ha deciso di convocare Critelli che ieri si è seduto per un’ora abbondante sul banco dei testimoni.
Il professore ha dichiarato di aver collaborato sì, ma soltanto a titolo gratuito, per un mero «interesse scientifico» negli studi della Colella.
Assieme avrebbero seguito una serie di attività che si ponevano idealmente come il prosieguo della ricerca sulle risorse idriche dell’Alta Val d’Agri, finanziata dalla Regione. Un lavoro confluito, in seguito, in una pubblicazione monografica dell’Autorità di Bacino a firma della sola professoressa Colella.
Critelli ha parlato di prelievi, analisi, prospetti e «trincee» scavate per studiare le caratteristiche idrologiche del sottosuolo dell’Alta Val d’Agri. Tutte operazioni costose, che in qualche caso avrebbero richiesto anche l’intervento di operai e mezzi meccanici, retribuiti direttamente dalla professoressa. Quanto agli altri due docenti menzionati, ha negato di averli mai visti durante la campagna, come pure di sapere che fossero coinvolti a loro volta nella ricerca.
Ieri mattina al secondo piano del Palazzo di giustizia di Potenza si è parlato anche del gommone di proprietà dell’Università, di cui la Colella, secondo gli inquirenti, si sarebbe di fatto impossessata.
Il titolare del rimessaggio di Carovigno, dove lei l’avrebbe portato in diverse occasioni, ha dichiarato che per quanto gli veniva riferito era effettivamente utilizzato per effettuare ricerche negli invasi lucani.
Così pure un vicino di casa della professoressa, sentito come testimone della difesa, che ha raccontato di aver visto spesso l’imbarcazione parcheggiata nel piazzale lì davanti. Prima che fosse portata definitivamente a Carovigno. Come pure i contenitori per campioni di terreno da analizzare che la professoressa portava con sé quando usciva per le sue campagne di studio.
La prossima udienza per la discussione delle parti e la sentenza è stata fissata tra due settimane, il 19 ottobre.
La professoressa è accusata di concussione e peculato, e ha sempre sostenuto che i suoi ricercatori fossero ben disposti a restituirle parte dei loro assegni di ricerca per il prosieguo del progetto, e che i soldi siano stati utilizzati soltanto per questo.
l.amato@luedi.it

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