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D’ACCORDO, d’accordo. Una prescrizione non è un’assoluzione. Ma altrettanto grave di un’ipotesi di reato è il tempo dieci anni, in questo caso, un pezzo di vita – che un cittadino (con una reputazione pubblica) è costretto ad attendere per ottenere una sentenza. 

E’ un bel concentrato di fallimenti la vicenda che vede l’ex parlamentare democratico Antonio Luongo uscire dal processo al cui esito è stato apparentemente impermeabile per lungo tempo. Amarezza a parte, per quest’inchiesta Luongo c’ha rimesso un posto in parlamento. La giustizia ha perso un’occasione per accertare una verità nel merito, la politica si è caricata di una responsabilità (quella di estrometterlo da una consultazione democratica) che oggi si rivela priva di legittimazione.

Il verdetto di proscioglimento capita a proposito in un momento di misera fine anche della storia dell’amministrazione comunale di Potenza. Una vicenda, per il livello che si deduce dagli atti giudiziari, molto simile a quella rimborsopoli casereccia che ha determinato la fine del governo regionale consentendo a De Filippo, dopo un anno di tribolazione, di approdare finalmente in parlamento.

L’aria del sospetto, scrive oggi qui l’avvocato Leonardo Pace, inquina i rapporti. Vero. E l’equilibrio tra i poteri si sfalda al primo assaggio di contestazione giudiziaria. Ma se tutto questo succede è perché manca con un contrappeso politico, una voce in grado di rivendicare l’autonomia del governo pubblico e di fronteggiare con la forza degli atti la spiaggiata dei pm. La storia del sottosegretario Gentile dimostra che non è necessario essere indagati per essere travolti. Ma se ciò è vero è altrettanto vero il contrario e cioè che non sempre un’indagine può portare alla decisione di farsi da parte. E’ una questione di bilanciamento di interessi. Certo il presidente del consiglio, Renzi, ha mostrato di essere indifferente al problema. A cascata sono legittimati a esserlo tutti gli altri.

Rimborsopoli ha spazzato via una buona fetta di ex classe dirigente che oggi, all’indomani della nomina di De Filippo al governo, lamenta di essersi fatta troppo presto da parte. Perché a uno sì e agli altri no? Anche le prime candidature alle primarie per le future amministrative di Potenza hanno subito una feroce frenata per l’inchiesta in corso sugli appalti.

A poco più di due mesi dalle elezioni amministrative di Potenza non sappiamo chi saranno i candidati. O meglio: conosciamo il candidato dei cinque stelle, sappiamo che è un vigile del fuoco ma vorremmo conoscere che idea ha della sua città, che visione, che proposte.

Il Pd, more solito, è in ambasce. Tra inchieste giudiziarie ma anche riduzione progressiva di credibilità in un momento in cui la città sembra spegnersi per eutanasia. Esattamente come è successo alla vigilia delle primarie per le regionali. La lunga attesa, poi il conflitto, infine la sorpresa. Chi sarà il successore di Vito Santarsiero che nel frattempo è diventato consigliere regionale di fatto abdicando alla guida della città? Potrà essere, come si sostiene, quel Carretta che si presentò in consiglio comunale in canotta e mutande? Così, giusto per ricordare la misura e il senso del decoro istituzionale. Io continuo a sostenere che è l’ora giusta per scommettere su una donna.

Il Pd arranca dietro regole e regolette per il congresso e la segreteria regionale. Il segretario regionale, De Filippo, è sparito insieme all’attesa che lo ha tormentato fin quando non è arrivato a Roma. E così la poltrona del ruolo di maggiore responsabilità politica del partito (se volete rispetto a uno schema classico che però non è stato ancora superato) si è dimostrata ancora una volta un trampolino per altro. Così è stato per Speranza, così è stato per De Filippo che in quest’incarico non c’ha creduto neppure per un giorno. Sarebbe auspicabile che il prossimo segretario regionale fosse libero da ogni altro incarico. E fosse scelto in quel clima di condivisione che ha cercato di ottenere, finora invano, il presidente Pittella. Il quale si trova in una fase di azione di governo a forte determinazione decisionistica ma con un grosso problema politico sullo sfondo: sta conducendo una sfida personale o è pronto a un compromesso (che è un concetto moralmente neutro)? Conduce, scrive, convoca, nomina, lavora fino a notte, passa dai precari dell’Alsia ad Arisa senza un supporto di mediazione. Un ruolo difficile da reggere.  La piccola vicenda di cronaca di ieri mattina è la dimostrazione di come l’ esasperazione può crescere su se stessa se non governata, ad esempio, in questo caso, con l’aiuto di un minimo di sostrato di dialogo sindacale. Ma i dieci punti indicati dalla Cgil sono in buona parte irrealizzabili. In sostanza il governatore sconta la mancanza di clima di fiducia da parte di chi ne ha ostacolato l’ascesa, cioè il suo stesso partito e le relative articolazioni. Questo nodo dovrebbe essere al primo posto del confronto politico che dovrebbe avviare il nuovo segretario regionale: certezza su un patto di legislatura per accompagnare le riforme in Basilicata. Il governatore lancia ponti di dialogo nel quale non dimostra di credere fino in fondo e il Pd, dal canto suo, non fa molto per farsi amare: per esempio Bubbico e De Filippo invitati pubblicamente a un confronto per venerdì hanno risposto? C’è da scommettere che la prima preoccupazione del nuovo segretario sarà: ci prepariamo alle elezioni politiche nel 2015 o arriviamo fino al 2018?

l.serino@luedi.it

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