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VENOSA – Accade a Venosa che un incontro con un’esperta internazionale, Maria Rita D’Orsogna, docente di Fisica presso l’Università della California, per essere precisi la California State University at Northridge (Los Angeles), rimanga avvolto nella patina dell’indifferenza istituzionale. Accade, per giunta, che gli unici rappresentanti politici presenti, seduti non in prima fila, ma fra la gente, fossero il consigliere regionale Vincenzo Leggieri e il candidato del Movimento Cinque Stelle della città oraziana, Raffaele Arturo Covella.

D’Orsogna, con un linguaggio estremamente comprensibile ha parlato della AleAnna Resources LLC, la compagnia texana interessata che nel 2006 ha avanzato un’istanza di permesso di ricerca sul territorio del Vulture – Alto Bradano. «Avremmo voluto che almeno fossero presenti i tecnici dell’Ufficio Ambiente del comune di Venosa a cui, alcuni mesi fa, abbiamo fatto richiesta di accesso agli atti e alla documentazione, e si sono messi sì a disposizione ma fino ad un certo punto», commenta la presidente dell’Associazione Futura, Marialaura Garripoli.

«L’unica carta che siamo riusciti a reperire – aggiunge – è stata la richiesta di screening che, peraltro, presentava delle mancanze perché non aveva in allegato il progetto. Nonostante le compagnie assicurino che i pozzi sono cementificati, nulla esclude la possibilità di logorio con sversamenti in mare, contaminazione della terraferma e, soprattutto, rischio di scoppi petroliferi, come avvenuto in Messico e senza andare troppo lontano in Basilicata nel 1991». Dunque «ogni attività di estrazione – continua D’Orsogna – provoca sia danni ambientali che alla salute dell’uomo, e i petrolieri lo sanno, le istituzioni anche, è evidente a tutti, non c’è bisogno di sperimentare sulla pelle dei cittadini».

Le conseguenze, a medio e lungo termine sono devastanti sia in termini ambientale, aumentando il rischio alluvioni e dissesto idrogeologico, sia in termini di salute pubblica. «Non esistono – dunque – secondo D’Orsogna – tecniche di estrazione petrolifera poco invasive e soprattutto i danni alla salute sono molto gravi, dalla modificazione genetica del Dna, che causa alcune forme tumorali, fino alle malattie croniche respiratorie, malattie della pelle, ansia, depressione e altro ancora. Senza contare che nel 2008 l’Eni ha ammesso di riversare in mare quello che viene definito comunemente “il fondo del barile”, un petrolio di scarsa qualità, amaro e pesante, ed è lo stesso che viene sversato in Basilicata e, in particolare, in Val D’Agri. Questo petrolio, amaro e pesante, necessita di un processo di desolforazione, come quello che avviene nel “Centro Oli” ma, come rivela lo studio di Albina Colella, esso non è in grado di eliminare tutta la componente solforea che, inevitabilmente, in una certa percentuale, viene rilasciata in atmosfera, come accade a Viggiano, sulla terraferma, e, in altre zone d’Italia, in mare su speciali piattaforme o navi che galleggiano».

Ma allora cosa possono e devono fare i cittadini? «Innanzitutto non credere ai petrolieri. Loro vengono qui solo per generare profitto e fanno forza sull’ignoranza della gente. Dunque è necessario informarsi, parlarne, leggere i dati ed esigere che le cose cambino». Così l’associazione “Futura” di Venosa, presieduta dal presidente Marialaura Garripoli, assieme al Gruppo di Coordinamento Vulture – Alto Bradano, formato dal Comitato “Diritto alla Salute” di Nicola Abbiuso, dal Comitato Intercomunale Lucania, dal Comitato “La Nostra terra non si tocca”, dall’Associazione Centro di Documentazione Michele Mancino, il Comitato spontaneo “Cittadini di Spinazzola”, dall’Associazione “Punto zero” e ancora “Italia Nostra” – sezione Vulture – Alto Bradano, si sono riuniti per festeggiare il primo anno di attività di associazione sul territorio ma soprattutto per dare ai cittadini una informazione trasparente chiara e oggettiva su un tema quello ambientale che troppo spesso cade nell’indifferenza, e chiedere alle istituzioni la medesima chiarezza.

 

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