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MATERA – I Sassi li conosce bene grazie a Renato Carpentieri che è venuto a ricordare qualche giorno fa nel giorno in cui il nostro collega avrebbe compiuto 57 anni.
«Era un signore – ha ricordato parlando alla platea riunita sul sagrato della chiesa di San Vincenzo De’ Paoli – e mi ha accolto descrivendo in modo impeccabile i Sassi e la loro storia. Così anche mia moglie». Della morte di Carpentieri, Italo Cucci, giornalista sportivo di lungo corso, direttore del Guerin Sportivo e del Corriere dello Sport, aveva saputo in modo del tutto casuale, vedendo una sua foto con Renato pubblicata proprio per annunciarne la morte.
Il ritorno di Cucci a Matera è stata anche l’occasione per parlare di giornalismo, sport e della vita di un uomo che orgogliosamente afferma: «Ho dato le dimissioni tante volte ma mi hanno sempre richiamato». E cita uno dei casi più clamorosi quando, nel 1992, gli tolsero le firme più prestigiose del Corriere dello Sport, mandate in pensione.
La figlia di Beppe Viola, in una intervista, ha detto: «Mio padre intervistò Rivera durante un viaggio in tram. Non credo che oggi, con Totti, sarebbe possibile». Quel giornalismo, dunque, non esiste più?
«Il buon giornalismo c’è, a patto che ci si renda conto che è cambiato tutto. Oggi è difficile che si possa fare ciò che fece Viola, salvo avere un rapporto molto personale con questi personaggi. C’è stata l’esplosione dei cosiddetti “kapò”: gli uffici stampa, in cui ci sono colleghi che impediscono qualsiasi cosa. Ecco in che consiste il cambiamento drastico e doloroso e i presidenti lo hanno capito, dando lavoro agli odiatori». La definizione di kapò, risale ad un dibattito televisivo in cui Cucci affibbiò il termine ad un collega che lo aveva attaccato nel corso di un confronto sull’Inter. Romagnolo sanguigno e senza peli sulla lingua, Cucci si conferma uomo di cuore ricordando Beppe Viola: «Era un personaggio leggendario, un giovane che adoravo e che è morto di dolore».
Quindi come si scavalca il muro dell’addetto stampa?
«Oggi in un giornale si può supplire alla mancanza di rapporto diretto, con l’opinione che se diventa particolarmente dura, poi apre i varchi. La forza delle opinioni la dimostra anche la nuova Gazzetta dello Sport che ha pubblicato di nuovo le interviste di qualità. Le due pagine dedicate a Ballotelli sono state un’investitura».
L’informazione omologata, in fondo, non fa vendere?
«L’ho verificato quando dirigevo il Corriere dello Sport. I colleghi che si incontravano, si scambiavano le informazioni e il giorno dopo sulla stessa notizia c’erano titoli diversi. Solo chi aveva parlato direttamente con la fonte aveva usato le parole giuste, gli altri lo avevano fatto per sentito dire. I giornali sportivi hanno perduto qualità e copie per l’inattendibilità e i titoli fantasiosi. La fiducia dei lettori, una volta, era straordinaria».
E il Pedullà della situazione, con i suoi siti?
«E’ un grande. Faccio un esempio: circola su Google quello che lui definisce “il suo vitalizio”. Un giorno mi chiama e mi dice: “Direttore, prepara la prima pagina. Cassano va alla Roma”. Moggi intanto lo dava alla Juve che poi si tirò indietro. Gli dissi: “Abbiamo tempo fino a stasera, ma quando mi richiami devi darmi garanzie sulla notizia. Ha lavorato tutto il pomeriggio e il Corriere dello Sport è uscito col titolo “Cassano alla Roma”. Alfredino è uno dei pochi attendibili, insieme al figlio di Di Marzio».
Nei siti on line, però, c’è una miriade di ragazzi, forse troppo spesso in mano ai procuratori.
«E’ stato Moggi a insegnare che le informazioni sugli altri si danno più che volentieri. Io sono rimasto suo amico, nonostante gli abbia dato legnate quando è stato coinvolto nel famoso scandalo. Oggi, invece, gran parte dei procuratori fa circolare nomi per proprio interesse o per danneggiare altri. E’ ovvio che ha creato imitazioni. I “cravattini” di Sky, parlano come se avessero assistito alla nascita del calcio, con piglio sicuro. Tutte cazzate. Una volta si usava chiedere scusa se una dritta non era vera, oggi invece chi se ne frega. Al giornalista inattendibile, però, cosa resta?».
I suoi direttori rispondono a nomi come Giovanni Spadolini, Gianni Brera e Enzo Biagi. Sul primo glissa volentieri, senza però trascurare particolari sul difficile rapporto con un uomo di grande cultura con cui, però, Cucci non legò mai
«Gli devo, però, il fatto di essere diventato sportivo. Ero un giovane agitatore di destra, cronista di nera e giudiziaria e fui il più giovane assunto al Resto del Carlino. Spadolini volle parlarmi per primo e mi fece capire che non mi voleva. “Al piano di sopra c’è Stadio. Si troverà benissimo, mi disse”».
Su Brera e Biagi, invece, i ricordi scorrono in modo diverso. Di quest’ultimo ricorda le polemiche per il suo licenziamento, ma anche il retroscena dei 3 miliardi che gli erano stati dati per andar via. Con Gianni Brera?
«Fu un rapporto molto bello, perchè non ero uno dei suo fedeli che gli portavano la macchina da scrivere e gli dicevano sempre sì – spiega – E’ stato mio direttore al Guerin Sportivo a Milano. Con me che venivo da Bologna, nacque un bel rapporto. Mi chiamava di notte perchè non dormiva, beveva un pessimo whiskey e facevamo le sei del mattino mentre lui raccontava. Aveva una cultura senza fine. Era discutibile nelle tesi calcistiche, ma aveva il fascino di chi sapeva».
E oggi?
Non è del tutto contrario alla presunzione e all’ambizione che caratterizzano il giornalismo. «L’importante è saperli esercitare. Al Guerin Sportivo fra il 1975 e il 1985 assumevo per lettera, oggi dopo aver visto cosa succede e aver fatto parte diverse volte della commissione d’esame, suggerisco ai genitori di far fare altro ai loro ragazzi. I giornali, ormai sono diretti dagli amministratori delegati, la fine dei direttori è automatica. Oggi è necessaria la dignità che, però, è sempre più carente». 

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