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POTENZA – I suoi “pusher” dovevano sottostare ad alcune regole. In primis sui pagamenti. Altrimenti partiva la «rappresaglia».
Parla anche di una «spedizione punitiva» il gip di Potenza Amerigo Palma, nell’ordinanza eseguita martedì nei confronti dei «clan» guidati dai melfitani Antonio Gaudiosi e Teodoro Barbetta.
Barbetta è considerato «un esponente di spicco della criminalità organizzata del “Vulture-melfese”». Di fatto era stato arrestato già a ottobre dell’anno scorso. Con l’accusa di estorsione ai danni di due commercianti ambulanti pugliesi, che si erano rivolti ai vecchi clan per difendersi dalle pretese dello «zingaro». Così veniva chiamato in una delle intercettazioni.
Lui non prendeva ordini da nessuno e nel vuoto aperto dagli omicidi e gli arresti per la faida aveva trovato spazio per i suoi affari. Ma era pronto a difenderlo in qualsiasi momento. Per questo aveva bisogno delle armi.
Per gli inquirenti proprio una rivoltella prelevata di nascosto dai carabinieri nella sua abitazione avrebbe scatenato l’ira di Barbetta.
«In effetti – scrive il gip – nella giornata successiva Teodoro Barbetta contattava per telefono dapprima Arturo Mari riferendogli che aveva bisogno di parlare con lui e con Mancino (Pasquale, ndr), e poi in rapida successione Savino (Mauro, considerato il suo “alter ego”, ndr) invitandolo a raggiungerlo». Perché lo affiancasse all’incontro con i due presunti pusher.
«Proprio dalla conversazione intrattenuta con Savino – prosegue il gip – emerge l’ipotesi che la finalità dell’incontro con i due indagati sarebbe stata la loro intimidazione o comunque la consumazione nei loro confronti di una qualche forma di rappresaglia».
Motivo: «il sospetto che i due ragazzi avessero sottratto la pistola». O il ritardo nei pagamenti per la roba spacciata in “conto vendita”.
Una specie di «spedizione punitiva», secondo il magistrato, che stamattina incontrerà in carcere sia Barbetta che Mari, per gli interrogatori di garanzia. Assieme ad Antonio Gaudiosi e gli altri 17 detenuti. Mentre il prosieguo, per i 9 ai domiciliari (tra i quali c’è anche Pasquale Mancino) è previsto per il pomeriggio nel Tribunale di Potenza.
Caso simile per un altro dei presunti pusher assoldati da Barbetta, Alfonso Damiano, che il boss minacciava di andare a trovare a casa, facendo irruzione per picchiarlo e recuperare i soldi.

l.amato@luedi.it

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