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Le tre vite del prete scomodo
don Marco Bisceglia
di MIMMO MASTRANGELO
“DON Marco mi è stato padre, fratello maggiore…Penso  a  Don Marco  quando leggo l’Ecclesiaste. Persino la sua celebrazione dell’eros era quanto di più lontano da un’idea consumistica, strumentale della sessualità ci potesse essere, anche quando si è allontanato dal sacerdozio, persino quando sembrava rinnegare il sacerdozio, non sapeva far altro che celebrare la vita. Lui aveva il carisma di questo speciale sacerdozio. Il suo è stato il Dio che danza la vita…”. Così  Nichi Vendola ricorda Don Marco Bisceglia chiamato il “Don Enzo Mazzi del Sud, in quanto animatore di una di quelle  Comunità di Base che  si  svilupparono spontaneamente pure all’interno della Chiesa italiana fra gli anni sessanta-settanta. Ma il nome di Don Marco oggi è legato anche ad importanti  e difficili battaglie civili, da fondatore  dell’Arcigay nazionale fu colui che, più di altri,  si profuse  per legittimare i diritti degli omosessuali,  strutturare uno spazio di lotta che – come  ammette lo stesso Nichi Vendola (che lavorò a Roma gomito a gomito con il sacerdote) – potesse  obbligare  i partiti al  confronto su determinate tematiche. Al Don Bisceglia che non nascose la sua omosessualità,  dedicò tutta la vita e il sacerdozio ai poveri e fu sospeso a divinis da  una  Chiesa molto pre-Concilio, il giornalista Rocco Pezzano  ha dedicato “Troppo amore ti ucciderà” (Edigrafema Edizioni),  una appassionante biografia in cui viene ripercorso del prete il ministero di fede   e l’ impegno politico  e  civile. Don Marco nasce nel 1925 a Lavello, in provincia di Potenza,  studia dai gesuiti  e diventa discepolo in Spagna di padre Diez-Alegrìa,  uno dei più grandi teologi del novecento, sostenitore della Teologia della Liberazione e voce in netto stridore con  quei vertici della Chiesa Cattolica che – secondo lui –  avevano tradito  Gesù.  Ordinato sacerdote nel 1963, Don Marco l’anno successivo viene nominato parroco del Sacro Cuore di Lavello. Qui inizia a portare avanti una pastorale da curato di strada,  cercando di rendere viva nella vita di tutti i giorni il verbo delle Scritture. Con un  Don Bisceglia attivo dentro e fuori le mura della Chiesa, pronto a riconoscere in  valori religiosi  quelli della giustizia, della libertà e del rispetto della dignità, nasce a Lavello una Comunità di Base che si farà anche portavoce di un certo dissenso e  malcontento che era andato maturando  tra i cattolici. Don Bisceglia lo si ritroverà sempre  in prima fila a combattere per i diritti della sua gente, per rappresentare un Cristo umile, che si incontra da una parte come “brezza leggera” e dall’altra in tutti gli uomini che soffrono.  Per questo suo  sentire a portare la croce più sulle spalle che sul petto,   a stare a fianco  delle rivendicazioni e delle proteste della sua gente  verrà rinviato in giudizio nel 1972. Troppo scomodo,  Don Bisceglia è soggetto a continui richiami dalla Curia, mentre a Lavello  c’è   chi vede dannoso il legame che ha stretto coi i fedeli che frequentano il Sacro Cuore. Tanto dannoso  che pure i giornali nazionali cominceranno a tendere le attenzioni sulle sue azioni, finché  il  Vescovo non decide di allontanarlo. E la sua uscita di scena non sarà facile, visto che il 25 ottobre del 1978 dovrà arrivare a Lavello  un consistente drappello di poliziotti e carabinieri per porre fine alla protesta in Chiesa dei fedeli  che non vogliono che il loro parroco venga messo alla porta.  Don Bisceglia  andrà via da Lavello con il cuore affranto,  per il distacco dalla  famiglia (in particolare dall’amata sorella Anita), dalla sua umile gente, da quei giovani che avevano visto in lui un capopopolo. Se ne andrà umiliato per non poter più sottostare a quel  “Cristo voce degli ultimi ” a cui  si sente servitore. Si trasferirà a Roma dove troverà accoglienza e  lavoro, con l’Arci inizierà le sue lotte per i diritti dei gay. Trascinatore di folle ed intelligenza vivacissima,  Don Marco nella capitale frequenterà i radicali di Marco Pannella (che lo volle candidato alle legislative nel 1979, ma i 6000 consensi non furono sufficienti per farlo eleggere) e tanto anche quei movimenti vicini alla sinistra radicale dediti a portare  avanti le sue stesse battaglie per i diritti. Finché  a metà degli anni ottanta, di lui si perdono le tracce, la voce più illuminata  del movimento gay del tempo decide di  abbandonare il terreno dell’impegno politico. Don Bisceglia ritornerà alla sua Chiesa negli ultimi anni di  vita (morirà di Aids nel 2002), tant’è che  il Vaticano  gli riconsegnerà la facoltà per poter dir messa, ma il sacerdote ritrovato non sarà più quello della Parrocchia del Sacro Cuore,   scomodo e scandaloso. Sarà il tempo in cui Don Marco vorrà fare i conti con la propria coscienza, le proprie controversie e complessità. Sarà il tempo della preghiera  e della meditazione su una vita apparsa in tutti i suoi risvolti intensissima ed  appassionante. Come sono appassionanti le pagine che Rocco Pezzano passa  in dono ai lettori sulle “tre vite di Don Marco Bisceglia”.

“DON Marco mi è stato padre, fratello maggiore…Penso  a  Don Marco  quando leggo l’Ecclesiaste. Persino la sua celebrazione dell’eros era quanto di più lontano da un’idea consumistica, strumentale della sessualità ci potesse essere, anche quando si è allontanato dal sacerdozio, persino quando sembrava rinnegare il sacerdozio, non sapeva far altro che celebrare la vita. Lui aveva il carisma di questo speciale sacerdozio. Il suo è stato il Dio che danza la vita…”. Così  Nichi Vendola ricorda Don Marco Bisceglia chiamato il “Don Enzo Mazzi del Sud, in quanto animatore di una di quelle  Comunità di Base che  si  svilupparono spontaneamente pure all’interno della Chiesa italiana fra gli anni sessanta-settanta. 

Ma il nome di Don Marco oggi è legato anche ad importanti  e difficili battaglie civili, da fondatore  dell’Arcigay nazionale fu colui che, più di altri,  si profuse  per legittimare i diritti degli omosessuali,  strutturare uno spazio di lotta che – come  ammette lo stesso Nichi Vendola (che lavorò a Roma gomito a gomito con il sacerdote) – potesse  obbligare  i partiti al  confronto su determinate tematiche. Al Don Bisceglia che non nascose la sua omosessualità,  dedicò tutta la vita e il sacerdozio ai poveri e fu sospeso a divinis da  una  Chiesa molto pre-Concilio, il giornalista Rocco Pezzano  ha dedicato “Troppo amore ti ucciderà” (Edigrafema Edizioni),  una appassionante biografia in cui viene ripercorso del prete il ministero di fede   e l’ impegno politico  e  civile. Don Marco nasce nel 1925 a Lavello, in provincia di Potenza,  studia dai gesuiti  e diventa discepolo in Spagna di padre Diez-Alegrìa,  uno dei più grandi teologi del novecento, sostenitore della Teologia della Liberazione e voce in netto stridore con  quei vertici della Chiesa Cattolica che – secondo lui –  avevano tradito  Gesù.  

Ordinato sacerdote nel 1963, Don Marco l’anno successivo viene nominato parroco del Sacro Cuore di Lavello. Qui inizia a portare avanti una pastorale da curato di strada,  cercando di rendere viva nella vita di tutti i giorni il verbo delle Scritture. Con un  Don Bisceglia attivo dentro e fuori le mura della Chiesa, pronto a riconoscere in  valori religiosi  quelli della giustizia, della libertà e del rispetto della dignità, nasce a Lavello una Comunità di Base che si farà anche portavoce di un certo dissenso e  malcontento che era andato maturando  tra i cattolici. Don Bisceglia lo si ritroverà sempre  in prima fila a combattere per i diritti della sua gente, per rappresentare un Cristo umile, che si incontra da una parte come “brezza leggera” e dall’altra in tutti gli uomini che soffrono. 

 Per questo suo  sentire a portare la croce più sulle spalle che sul petto,   a stare a fianco  delle rivendicazioni e delle proteste della sua gente  verrà rinviato in giudizio nel 1972. Troppo scomodo,  Don Bisceglia è soggetto a continui richiami dalla Curia, mentre a Lavello  c’è   chi vede dannoso il legame che ha stretto coi i fedeli che frequentano il Sacro Cuore. Tanto dannoso  che pure i giornali nazionali cominceranno a tendere le attenzioni sulle sue azioni, finché  il  Vescovo non decide di allontanarlo. E la sua uscita di scena non sarà facile, visto che il 25 ottobre del 1978 dovrà arrivare a Lavello  un consistente drappello di poliziotti e carabinieri per porre fine alla protesta in Chiesa dei fedeli  che non vogliono che il loro parroco venga messo alla porta.  Don Bisceglia  andrà via da Lavello con il cuore affranto,  per il distacco dalla  famiglia (in particolare dall’amata sorella Anita), dalla sua umile gente, da quei giovani che avevano visto in lui un capopopolo. Se ne andrà umiliato per non poter più sottostare a quel  “Cristo voce degli ultimi ” a cui  si sente servitore. 

Si trasferirà a Roma dove troverà accoglienza e  lavoro, con l’Arci inizierà le sue lotte per i diritti dei gay. Trascinatore di folle ed intelligenza vivacissima,  Don Marco nella capitale frequenterà i radicali di Marco Pannella (che lo volle candidato alle legislative nel 1979, ma i 6000 consensi non furono sufficienti per farlo eleggere) e tanto anche quei movimenti vicini alla sinistra radicale dediti a portare  avanti le sue stesse battaglie per i diritti. Finché  a metà degli anni ottanta, di lui si perdono le tracce, la voce più illuminata  del movimento gay del tempo decide di  abbandonare il terreno dell’impegno politico. Don Bisceglia ritornerà alla sua Chiesa negli ultimi anni di  vita (morirà di Aids nel 2002), tant’è che  il Vaticano  gli riconsegnerà la facoltà per poter dir messa, ma il sacerdote ritrovato non sarà più quello della Parrocchia del Sacro Cuore,   scomodo e scandaloso. 

Sarà il tempo in cui Don Marco vorrà fare i conti con la propria coscienza, le proprie controversie e complessità. Sarà il tempo della preghiera  e della meditazione su una vita apparsa in tutti i suoi risvolti intensissima ed  appassionante. Come sono appassionanti le pagine che Rocco Pezzano passa  in dono ai lettori sulle “tre vite di Don Marco Bisceglia”.

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