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IERI il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha affidato al Corriere del Mezzogiorno una sintetica analisi sul Mezzogiorno alla vigilia delle risultanze del rapporto Svimez.
L’ex sindaco articola il suo ragionamento in pochi punti, in verità tutti rientranti nelle grandi linee di ragionamento storico sul Mezzogiorno. In ulteriore sintesi: 1) la questione meridionale non è solo un problema dei meridionali, l’Italia è una sola; 2) l’elenco dei problemi è noto ma ci sono energie giovanili nuove; 3) Renzi si è dimostrato sensibile verso il Sud non solo per le sue visite ma anche per i contatti continui che ha con gli amministratori locali; 4)c’è bisogno di uno sguardo “vicino” (le cose minime devono funzionare) e di una visione strategica che passa soprattutto per la programmazione europea; 5)la preoccupazione del governo è che la cosa pubblichi funzioni e che sia rispettata da tutti. Il ragionamento è pienamente condivisibile nella sua semplice linearità, ma se diamo uno sguardo d’insieme a tutto il Sud per renderci conto di quale sia la visione per arrivare all’obiettivo, la prova del nove non torna. La visione è, spesso, strabica.
Partiamo dall’ultimo punto. Il rispetto della cosa pubblica, soprattutto nelle aree a forte criminalità. Il governo Renzi ha affidato a un magistrato, Cantore, l’Autorità nazionale anticorruzione secondo una logica, spesso seguita al Sud, secondo la quale un giudice controllore è garanzia maggiore di un politico. Basterebbe la storia della Calabria per smontare questo assunto. Uno degli ex governatori, Agazio Loiero, nominò alla stazione unica appaltante il miglior magistrato che all’epoca esprimeva la regione, Salvatore Boemi. La scelta non ha né neutralizzato la corruzione né arginato la criminalità. Migliore prova non hanno fatto i magistrati eletti sindaci a furor di popolo. La Napoli di De Magistris ha vissuto uno dei periodi peggiori della sua storia. L’intreccio, inoltre, tra politica e magistratura, proprio in Basilicata ha fatto scrivere una delle pagine più buie. E speriamo di non essere alla vigilia di un nuovo capitolo. Sarebbe meglio ricordare che il controllo preventivo per l’anticorruzione è nel senso della cosa pubblica che dovrebbero avere gli amministratori, non nella forza deterrente di un magistrato. Oltre al fatto che – l’ho scritto altre volte riprendendo un pensiero ben teorizzato da Isaia Sales – recenti vicende giudiziarie settentrionali, dall’expo al Mose,dimostrano che la criminalità non è genetica meridionale, ma ruota attorno al flusso economico dei municipi. Una politica poco convinta si affida ai magistrati, anche nella fase patologica dell’eliminazione dell’avversario. Sta succedendo così a Salerno, attorno al sindaco De Luca. Con conseguenze grottesche come la posizione dell’Ordine degli avvocati che, contravvenendo a un principio di libertà, hanno dichiarato, in vista di uno sciopero, che non si sarebbero sottratti solo a un processo che riguardava il sindaco, per non essere tacciati di strumentalizzazione politica. Sortendo un effetto esattamente contrario a quello che intendevano trasmettere: saltano le udienze per tutti, ma quella a carico del sindaco va fatta a tutti i costi. Quando il vento cambia, le avvisaglie arrivano presto.
Sugli altri punti toccati da Delrio la Basilicata può entrare a testa alta nel dibattito a partire dall’ultima strepitosa vittoria (di cui in verità finora nessun esponente di governo, a parte per ovvie ragioni di competenza, Franceschini, sembra essersi accorto) di Matera. Questa vittoria dimostra che una scommessa nella quale credono fortemente i cittadini può andare in porto. Ma di una cosa la città sembra non aver bisogno: di un sindaco manager, com’è la proposta avanzata ieri da Centro democratico. Un sindaco è e deve rimanere un politico, capace di avere una visione strategica e disponibile ad affidarsi. Il sindaco raccorda, programma, francamente facciamo a meno sia di magistrati prestati alla politica o che si impicciano di politica (ce lo raccontava Montesquieu) sia di imprenditori che ci vengono a dire che le città vanno amministrate come aziende. Sul rapporto che poi Renzi ha con le comunità locali, la Basilicata vanta un enorme credito verso il premier che il governatore è costretto a supplire. Quando Renzi si ricorderà che può fermarsi da queste parti per spiegare il suo progetto energetico i lucani sapranno apprezzare. A volte le missioni impossibili sono le più semplici.
Infine la capacità di fare dei territori. E qui si tocca il vero problema, tutto annidato dentro la burocrazia regionale e in un meccanismo di lavoro che, partendo dalle proprie sicurezze occupazionali, arriva a livelli inaccettabili di deresponsabilizzazione e produttività dei dipendenti pubblici. Nessuno pretende una catena di montaggio modello Sata, ma ogni buon proposito amministrativo si frantuma davanti al muro dell’inerzia degli uffici. E così l’anello finale del processo chiude il cerchio. La macchina si ingolfa, alla meta non ci arriviamo.

l.serino@luedi.it

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