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«NEGLI ultimi 10 anni non c’è stata nessuna vertenza di lavoro nel settore agricolo». In altri tempi ci sarebbe stato da festeggiare, ma oggi Marcella Conese legge quel lungo silenzio come un segnale di quel sommerso, di quei volti silenziosi e senza voce che compongono la gran parte della forza lavoro che, ad oggi, clandestini a parte si attesta intorno ai 15 mila addetti.

Che irregolarità e illegalità fossero le incognite con cui combattere la Flai Cgil lucana e quella pugliese lo avevano già segnalato il 9 febbraio 2012 con un documento congiunto per contrastare questo fenomeno. Si trattava, come scrivevano all’epoca Giuseppe Deleonardis (Flai-Cgil Puglia) e Vincenzo Esposito (Flai -Cgil Basilicata) di «Un punto di partenza di un lavoro comune da mettere in campo per contrastare fenomeni di irregolarità e illegalità che caratterizzano il mercato del lavoro con particolare riferimento ai flussi migratori di operai (in parte extracomunitari) che si spostano in aree a ridosso dei confini tra Puglia e Basilicata, e alle loro condizioni di vita e di dimora».  In quell’occasione si chiese ai Prefetti di Bari, Bat, Taranto, Potenza e Matera 

«Di promuovere la convocazione di un incontro tra le parti al fine di avviare una discussione sulle questioni poste dal documento, che porti nel breve ad una programmazione delle azioni da porre in essere per contrastare tali fenomeni».  «In quella riunione abbiamo creato – spiega ancora Marcella Conese – una sorta di coordinamento interregionale per individuare strumenti di monitoraggio sullo spostamento di manodopera dal tarantino alle nostre coste e dall’altro lato dall’alta Puglia verso il Vulture. Parliamo, chiaramente, di flussi stagionali in base ai periodi di raccolta. La Puglia ha contratti molto più favorevoli rispetto ai nostri ma la manodopera viene pagata in base ai riferimenti lucani.  La media è di 30 euro al giorno  (per la precisione fino al 31 dicembre 2013, secondo la tabella paga ufficiale dei lavoratori agricoli di 6° livello, ad esempio,  sono 34,863 euro netti) ma c’è da chiedersi: quanto dura un giorno di lavoro? Una parte di quel denaro – dice  ancora la Conese – viene restituita al caporale. Per i clandestini e gli extracomunitari parliamo del 50% della paga; sappiamo però che il fenomeno è variabile. Nasce, dunque, un problema legale: la manodopera spesso non è nemmeno denunciata e crea un sottobosco in nero legato al numero di giornate lavorative effettuate».  Il meccanismo è presto spiegato: «Lavori un numero di giornate e io ne denuncio solo una parte ai fini contributivi. Non si può negare che questo crei un ricatto anche morale nei confronti del lavoratore che ufficialmente lavora solo alcuni giorni e nel restante periodo può richiedere  l’indennità di disoccupazione».  Impossibile riuscire a mettere in moto un meccanismo di controllo e, al tempo stesso, di tutela dei diritti dei lavoratori danneggiati da questo fenomeno. Al centro dell’attività che i sindacati sono ancora in grado di effettuare c’è il contratto provinciale di settore.  «Abbiamo avuto difficoltà per il rinnovo del contratto provinciale. Il contratto nazionale dei braccianti rinvia la determinazione di alcuni istituti e alcune tariffe all’accordo provinciale che non veniva rinnovato da sei anni. Avevamo già tentato il rinnovo con una trattativa nel 2010, ma le controparti Cia, Coldiretti e Confagricoltura non ci hanno mai risposto. Abbiamo scritto al Prefetto perchè convocasse un incontro. A sua volta egli ha investito l’Ispettorato del Lavoro che ci ha convocato e per la prima volta ci siamo messi attorno a un tavolo. Il nuovo contratto è in vigore dall’1 ottobre di quest’anno, con una perdita di incremento salariale di quattro anni».  Purtroppo, nonostante questi passaggi, per noi fondamentali, quei parametri non vengono comunque rispettati. «Un aspetto su cui non abbiamo sentito ragioni – aggiunge Marcella Conese –  era quello legato al fatto che i braccianti dovessero  avere trasversalità di mansioni; cioè non avrebbero dovuto solo raccogliere ma anche confezionare, irrigare, ripulire gli ambienti. Cosa accada veramente non ci è dato sapere,  visto che non siamo organi ispettivi e questo fa il paio con l’assoluta mancanza di vertenze in questo settore. Sono stata responsabile dell’ufficio vertenze negli ultimi 10 anni e  lo so». Tra gli strumenti utili ad arginare questi problemi, la Conese suggerisce: «Potremmo istituire presso gli uffici di collocamento,  liste di lavoratori agricoli che potrebbero essere previste da una legge regionale. In Puglia, ad esempio, esistono liste di collocamento del lavoro agricolo che consentono di utilizzare gli stessi stagionali per diversi anni. L’Inail, inoltre, ha i dati sugli infortuni. Trovo curioso che gli incidenti sul lavoro in questo settore, avvengano spesso il primo giorno di lavoro».

E mentre ci si avvia alla raccolta degli agrumi, il sommerso fa sentire ancora il proprio peso. A farne le spese sono coloro che lavorano nel rispetto dei diritti e dei doveri. Grazie a loro,   i furbetti (che non mancano mai) continuano a gestire un settore senza regole né parametri. In un silenzio che a volte è assordante.

a.ciervo@luedi.it

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