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POTREI darvi le cifre. Ma i miei colleghi di altri giornali le conoscono bene. E’ importante, però, che la classe dirigente di questa regione conosca un dato. E cioè che l’attenzione dei cittadini (in percentuale bassa, di sicuro, ma è un dato proporzionale all’afflusso elettorale) è tutta puntata sulla loro azione di governo. Le cifre di vendite dei giornali dicono questo. Dicono cioè che l’oscillazione della distribuzione è molto dipendente dalle notizie che riguardano il Palazzo. Viviamo, cioè, il paradosso di accumulare la registrazione di voci sprezzanti accompagnate da un interesse larghissimo a sapere, informarsi, controllare. In Basilicata il dato sfiora il patologico. Anche, onestamente, per fatti oggettivi, cioè per un ridotto flusso di fatti di cronaca. Da un certo punto di vista un bene.

Ieri Ernesto Navazio mi segnalava un articolo di Arianna Ciccone che va nel solco di un’ormai diffusa letteratura sulla scarsissima reputazione che oggi hanno i giornalisti. Esattamente come la politica, del resto. Ragionavo sulle cause con un collega. Mutazione di processo industriale, disintermediazione digitale, percezione di privilegi, mancanza di credibilità per azione di lobby spacciata per trasparenza. Eppure quelle considerazioni, lo ripeto spesso, le trovo profondamente ingiuste rispetto alla prova di servizio e di resistenza che moltissimi di noi siamo stati chiamati a fare e ancora facciamo. In Basilicata e altrove.

Due considerazioni, su cui è bene ragionare alla vigilia di una annunciata legge a sostegno dell’editoria.

I cuor di leone di questa professione, nel sistema dell’informazione iperlocale, si sono arresi in Italia almeno da una decina d’anni, da quando cioè dalle querele si è passati alla richieste di risarcimento danni. Un bel regalo culturale dell’era berlusconiana. Se le grandi aziende editoriali hanno la possibilità di accontonare risorse per i pagamenti, le aziende medio piccole, come la nostra ad esempio, rischiano di compromettere la loro permanenza sul mercato. Davanti a questo rischio la scelta sempre più frequente è che si preferisce tacere piuttosto che scrivere. Questo meccanismo, quasi un’estorsione del silenzio, è diventato col tempo una forma di inibizione, un’autocensura. Per chi si cimenta in delicati lavori d’inchiesta spesso si tratta di attraversamenti solitari. La condivisione è una cosa, la compartecipazione un’altra. E’ bene dirlo in maniera chiara. Se la lettura (e dunque la diffusione) delle notizie (non voglio scrivere dei giornali) è uno dei primi indicatori di civiltà di un paese, ricordiamoci che il buon giornalismo costa. I cittadini hanno diritto di sapere, le professionalità servono. L’intimidazione però è diventata un costume. Una cosa è il rispetto delle regole della professione, altro è il cunicolo dello spettro della ritorsione economica. E non sempre ci sono giudici a Potenza. 

L’andamento della diffusione dell’informazione in Basilicata strettamente legata alle cose della politica (parliamo di tendenza, ovviamente) un effetto ce l’ha. Se facciamo il rapporto tra il numero di abitanti, la fascia dei maggiorenni e quella potenzialmente attiva, significa che chi ci amministra deve avere la consapevolezza di essere ampiamente sotto i riflettori. E la mia analisi è abbastanza ovvia, perchè la politica, qui più che altrove, è tentacolare nella diramazione della spesa pubblica e nei circuiti di assistenza. Il punto non è il controllo della cassa, ma l’uso che se ne fa. Un governo regionale che programma praticamente tutto, può anche essere un caso di studio, può essere un sistema di differenza. Le ragioni sono molte e di natura storica. Stiamo al dato. La riflessione che porgo è che non è affatto vero che c’è disinteresse verso la politica. I giornali dunque hanno una grossa responsabilità. E poiché il racconto della politica non è affatto neutrale come può essere quello di un fatto di cronaca, credo che la nostra credibilità sia tutta in un’azione di trasparenza. La neutralità non è un valore in sé. Si può avere la presunzione di essere super partes nella pretesa di rappresentare un percorso autonomo di potere. O si può essere collaterali orientando e alterando. Penso a dei titoli recenti che Repubblica ha fatto su Renzi. Ma quando l’officina dell’informazione ha solo la pretesa di accompagnare una comunità nella sue consapevolezze civiche si può tentare di scremare i ragionamenti dalle posizioni di principio e cercare di contribuire a una visione del futuro e delle sue opportunità. Si può stare di qua o di là, avanti o indietro possibilmente. Sono le imboscate camuffate da convinzioni insieme alla collateralità di interessi economici che ci fa precipitare nel pozzo indistinto della melma.

l.serino@luedi.it

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