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«SONO arrivato a Gagliano un pomeriggio di agosto (…), portato da una piccola automobile sgangherata. Avevo le mani impedite, ed accompagnato da due robusti rappresentanti dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive».

Nella finzione letteraria del “Cristo si è fermato ad Eboli”, Carlo Levi racconta il suo arrivo ad Aliano. Ottant’anni dopo, il paese dei calanchi ricorda l’anniversario con una rievocazione storica cui parteciperà, tra gli altri, Michele Placido. Tutto il paese sarà coinvolto, dopodomani con inizio previsto alle 17, nella messinscena in piazza con tanto di comparse alianesi al fianco dell’attore e persino i carabinieri con divisa dell’epoca, quelli con le facce inespressive e le bande rosse ai pantaloni.

In otto decenni la “Gagliano” del libro è riuscita a rendere quel breve ma intensissimo passaggio un attrattore culturale e turistico che trova nella festa della Luna e i Calanchi uno dei tasselli principali: i palazzi parlano la lingua del capolavoro letterario e la comunità partecipa a una specie di idem sentire leviano che va oltre l’oleografia commemorativa.

«Aliano da diversi anni sta vivendo uno sviluppo turistico molto sensibile, a livello nazionale ed internazionale – ha commentato il sindaco Luigi De Lorenzo –. Dopo vari decenni” il paese del Cristo si è fermato a Eboli e dei Calanchi” gode di una sempre più forte richiesta turistica, sia per l’importanza storico-culturale che per quella paesaggistica dei “Calanchi”, da paragonarla alla Cappadocia della Turchia, con cui il Comune ha già avviato anche la richiesta di gemellaggio. Aliano è meta dunque di un turismo non stagionale, ma permanente , da oltre 15 mila presenze annue.. A questa esigenza gli imprenditori locali stanno rispondendo intelligentemente, investendo in strutture recettive per far fronte alla crescente richiesta di ospitalità, come la recente inaugurazione del Palazzo Scelzi con 32 posti letto completi di ogni comfort; inoltre lo stesso Comune spera di poter avviare entro la fine del 2015 il Borgo Albergo o Albergo diffuso in fase di arredamento, con altri 55 posti letto». Piccoli grandi segnali che permettono a De Lorenzo di parlare, a ragione, di «comune simbolo di riscatto autopropulsivo».

Ma com’era Aliano tra le due guerre? Così Levi descrisse il piccolo borgo della Lucania più profonda: «Mi accorsi allora che il paese non si vedeva arrivando, perché scendeva e si snodava come un verme attorno ad un’unica strada in forte discesa, sullo stretto ciglione di due burroni, e poi risaliva e ridiscendeva tra due altri burroni, e terminava sul vuoto.

La campagna che mi pareva di aver visto arrivando, non si vedeva più; e da ogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell’aria; e d’ognintorno altra argilla bianca, senz’alberi e senz’erba, scavata dalle acque in buche, coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare».

Levi è l’esiliato che quasi somatizza il proprio spleen coi mezzi espressivi che gli sono propri: un quadro (“Aliano e la luna”) e questi versi: “Grassano, desolazione / cui tutto manca, dolore e piacere, / abitata dai cafani / gentili all’ospite e uomini. / Aliano, isola tra i burroni / dalle formali maniere / malarica tradizione / di piccoli galantuomini. / O Rocco e Luigi, o miei santi, / non siate severi ai briganti” (28 settembre 1935 ).
Ottant’anni dopo resta ad Aliano qualcosa in più della tomba nel cimitero cittadino: «L’impegno di Carlo Levi – ha scritto ad esempio Angelo Colangelo – si tradusse in iniziative concrete di grande significato. Ne è un esempio la generosa attività dispiegata per molti anni a favore degli emigrati, che nei primi anni Sessanta furono costretti ad abbandonare Aliano, la Lucania, il Sud per trovare un lavoro nel Nord dell’Italia, in Germania o in Svizzera». Come dire che, una volta finito l’esilio, Levi non recise il filo che lo legava al suo non-luogo Gagliano: «La vicenda culturale ed umana dello scrittore torinese mostra che l’esperienza del confino alianese servì a legarlo per sempre ad una comunità, di cui in vario modo continuò a rappresentare le istanze per il resto della sua vita». Oggi quella stessa comunità sente il bisogno di rendergli il segno di affetto e attaccamento.

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