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L'ex sindaco di Pignola Ignazio Petrone

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POTENZA – «E’ chiaro che quest’anno di rotture di scatole non me lo restituisce nessuno. Come pure la lesione all’immagine che ho sofferto, nonostante gli attestati di stima ricevuti in queste ore. Ma va così. E’ come andare in macchina. Puoi anche andare piano ma se ti viene uno addosso non puoi farci nulla».

Ostenta serenità l’ex sindaco di Pignola, Ignazio Petrone, il giorno dopo il proscioglimento dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Mafia caffé, sugli affari criminali del clan pignolese dei Riviezzi (LEGGI LA NOTIZIA).

A Petrone, assistito dagli avvocati Donatello Cimadomo e Paolo Galante, venivano contestate pressioni sul capo dell’ufficio tecnico del Comune, e sul comandante della polizia municipale, perché il lavori di spargimento sale e spalamento della neve previsti per l’inverno tra il 2009 e il 2010, fossero affidati a una cooperativa riconducibile al clan Riviezzi. Contestazioni che lui, due volte sindaco di Pignola, poi consigliere regionale del Pd per uno scampolo della IV legislatura (tra maggio e agosto del 2013), e presidente della Società energetica lucana  fino al 2018, aveva respinto con decisione.

Quindi alla fine le hanno dato ascolto?

«Lo ha fatto il gup, perché le stesse cose le avevamo esposte ad agosto. Dopo l’avviso di conclusione delle indagini chiedemmo di essere interrogati dal pm, ma era indisponibile, non so, quindi io e il mio avvocato siamo andati in questura e abbiamo spiegato che alla fine non c’era stato alcun affidamento. Abbiamo anche chiesto che fossero sentiti i responsabili dei servizi sociali per appurare quale fosse l’origine della cooperativa in questione, pensata per il recupero degli ex detenuti. Invece non è stato fatto nulla ed è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio. E a fine marzo in udienza dopo la discussione del mio avvocato che ha riproposto tutte quegli elementi il pm non ha nemmeno replicato».  

Ha da ridire sull’operato degli inquirenti?

«Io penso che i pm fanno un’azione meritoria e il procuratore Curcio sta facendo una grande azione sul contrasto alla criminalità organizzata. Quindi  dobbiamo essergliene tutti grati. Ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio e mettere dentro a un’inchiesta delle cose, come in questa vicenda, che non ci sono. Solo per gonfiarla e senza nuovi elementi rispetto a quelli per cui c’era già stata un’archiviazione 10 anni fa. Io e chi è stato sindaco di Pignola prima e dopo di me ha sempre avuto la capacità di preservare l’amministrazione da certe situazioni. I Riviezzi hanno un’impresa di taglialegna da 30 anni e non hanno mai avuto un affidamento dal Comune. Quindi il concorso esterno a me… Mia figlia è attivista di Libera…»

Cosa le ha detto su questa vicenda?

«Le ho spiegato che ho fatto il sindaco senza mai voltarmi dall’altra parte sia se veniva un tossicodipendente che un latifondista. Queste persone di cui si parla nell’ultima inchiesta sono diventate quelle che sono negli ultimi 10 anni. Prima molti di loro erano in carico ai servizi sociali. La verità è che ci sono dei momenti in cui bisogna tenere duro e non rinnegare nulla soltanto per paura. Io rifarei quell’atto di indirizzo a favore di quella cooperativa perché ritengo anche oggi che fosse corretto. Quindi se mi avessero rinviato a giudizio avrei rinunciato alla prescrizione per andare fino in fondo. Perché dignità, etica, moralità non hanno prezzo sia nei confronti della famiglia che di quanti ti hanno sempre votato e sostenuto come amministratore».

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