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TINA Pesce ha 38 anni. È una donna bella. Alta e bionda. Ha un passo e un piglio deciso. Sorride. Anche se quel suo sorriso non è che una maschera per esorcizzare la paura.

E sì perché Tina Pesce lo scorso marzo, a Pignola,  ha visto la morte in faccia.

E se oggi può raccontare cosa le è accaduto è solo perché nessuna di quelle cinque coltellate  – infertele dal marito Vincenzo Paciello, 51 anni – ha leso organi vitali.

Un amore finito. Tina e Vincenzo sono stati sposati per quattordici anni. Poi qualcosa tra loro si è rotto. Succede. I primi litigi. La gelosia di lui. Le botte e le minacce. Minacce di morte.

Tina è stanca e  due anni fa  comunica a Vincenzo che vuole chiedere «il divorzio». Lui non ci sta e i litigi si fanno più violenti. Così come le minacce. L’anno scorso vengono avviate le pratiche legali per mettere definitivamente la parola fine a quel matrimonio. E questo non fa altro che alimentare il livore di Vincenzo nei confronti di Tina. Livore che giorno dopo giorni si unisce a quella che per il cinquantunne diventa un’ossessione.

Il classico copione: se non sarai più mia non sarai di nessuno.

Le minacce aumentano. La donna denuncia tutto ai carabinieri che, purtroppo, più che darle tutto il sostegno morale possibile non possono fare nulla.

Tina, per sentirsi al sicuro visto, si trasferisce con le figlie a casa della madre. Ma non può muovere un passo che lui è sempre lì a farle la posta. Comincia a seguirla ovunque. A tempestarla di telefonate. Telefonate con minacce anche ai familiari.

è un’escalation.

La mattina del 24 marzo scorso  intorno alle 9, Vincenzo  Paciello si reca  nell’abitazione dove la moglie vive  con la madre e con il fratello. Una visita che in un primo momento è apparsa normale visto che in quella casa vivono anche i figli del cinquantunenne.

Vincenzo Paciello e Tina Pesce si incontrano nel portone. Lei sta uscendo di casa.

Hanno cominciato a discutere. Poi i toni si sono fatti sempre più aspri. Ne è nata una vera e propria lite. A un certo punto l’uomo ha tirato fuori da una tasca un coltello a serramanico e ha cominciato a colpire la donna. Alcune pugnalate sono state inferte al torace. Ferite non troppo profonde anche perché Tina riesce a proteggersi il corpo con le mani.  Poi quella coltellata alla gola. Per fortuna la lama non si conficca  in profondità. Tina si accascia a terra.  Vincenzo imbocca il portone e scappa. Mentre si dà  alla fuga butta  il coltello poco distante dalluogo del tentato omicidio.

La trentottenne ha la forza di  di  chiedere aiuto. A sentire le urla  il  fratello che, aperta la porta di casa, si precipita nel portone e chiama   il 118 e il 112.

Tina viene trasportata all’ospedale San Carlo. Per lei una prognosi   di 30 giorni. Nel frattempo i carabinieri, dopo avere raccolto da terra il coltello a serramanico, si mettono sulle tracce dell’uomo.

In pochissimo tempo lo fermano in piazza Risorgimento a Pignola.

Arrestato, viene  portato nella casa circondariale di Potenza.

Per lui le accuse sono di tentato omicidio e porto abusivo di arma.

Il processo prenderà il via il prossimo 26 settembre.

La fine di un incubo? Assolutamente no.

Anche perché dal carcere Vincenzo ha continuato, tramite lettere,  a minacciare, di morte la ex moglie.

“Quando papà – ha scritto in una missiva indirizzata alle figlie – uscirà, voi starete con me perché mamma se ne dovrà andare”.

Tina denuncia nuovamente. I carabinieri la tranquillizzano come possono.

Del resto il suo ex è comunque in carcere.

Dieci giorni fa la doccia fredda. le viene comunicato che il Gip di Potenza, Luigi Spina, ha accolto, nonostante il parere contrario del sostituto procuratore Maria Alessandra Pinto, la richiesta, avanzata dal legale dell’uomo, per ottenere gli arresti domiciliari. Arresti domiciliari che il cinquantunnenne – che sarà dotato di braccialetto elettronico – sconterà in una casa di riposo per anziani, gestita da un prete, che si trova ad Abriola. Struttura forse non idonea in quanto non si tratta di un centro per la riabilitazione dei detenuti e dove, probabilmente, l’uomo non potrà essere assistito neanche da uno psicologo.

Ieri mattina, intanto, Vincenzo Paciello, avrebbe dovuto passare da casa – casa in cui vivono la moglie e le figlie  – per prendere alcuni oggetti personali – «oggetti e abiti – ha detto Tina – che da tempo avevo consegnato alla madre e alla sorella».

E se il faccia a faccia poi non c’è stato lo si deve solo al fatto che «quando i carabinieri mi hanno avvisato di quello che sarebbe dovuto accadere ieri – ha aggiunto la donna – io ho risposto che non mi sarei fatta trovare a casa».

Insomma «è assurdo che, nonostante gli appelli delle associazioni e le  campagne ministeriali contro il femminicidio invitino noi donne a denunciare cari di violenze e maltrattamenti, alla fine io, da vittima, mi ritrovi senza alcuna tutela». 

È «mai possibile  – ha aggiunto – che noi vittime, anche quando denunciamo violenze o come accaduto a me  vediamo la morte in faccia,   alla fine possiamo contare solo su noi stesse?».

Non «si fa altro che parlare quando, poi, come accaduto alla materana Anna Rosa Fontana solo per citare un caso a noi vicino geograficamente, non si compie l’irreparabile».

Ed ecco, allora, che Tina da oggi dovrà ricominciare «a vivere nel terrore. Perché lui me l’ha sempre detto e ripetuto: “Io non ti lascerò mai in pace”».

Un calvario «prima, durante» e ora anche dopo che «ho rischiato di morire».

a.giammaria@luedi.it

 

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