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La sede della Bce a Francoforte

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L’INFLAZIONE corre come mai era accaduto negli ultimi tredici anni. A novembre nell’Eurozona   è salita del 4,9%, contro una previsione del 4,5%. Si tratta del record dal 2008 e della variazione più ampia in un solo anno da quando, nel 1997, Eurostat  avviò  la serie storica.   In Italia i prezzi sono saliti del  3,8% contro una stima del 3%.

Secondo l’Osservatorio nazionale Federconsumatori la fiammata si tradurrà in un aggravio di spese  per le famiglie di 1.132,40 euro all’anno: «Gli aspetti che preoccupano maggiormente sono i forti rincari su beni primari quali energia elettrica, gas, carburanti e alimentari: secondo le stime del nostro Osservatorio i rincari dovuti a tali voci ammontano a oltre 551,65 euro annui». Il costo dell’energia sale del 27,4% rispetto al +23,7% di ottobre.

L’Italia, comunque, incassa una buona notizia: l’Istat fa sapere che la variazione mensile (+2,6%) rende molto probabile che il Pil del 2021 salirà del 6%. Secondo S&P potrebbe toccare anche il 6,4%. L’esplosione dei prezzi rischia però di ostacolare la ripresa. Il dato è tanto   più allarmante perché appena un anno fa l’economia globale era in piena deflazione (i prezzi  scendevano rispetto all’anno prima). In particolare, fra  marzo e aprile  2020, per la prima (e unica) volta le quotazioni del petrolio erano andate sottozero. Era il venditore a pagare l’acquirente perché ritirasse il prodotto liberando i depositi ormai stracolmi dopo il lockdown.

LE MOSSE DI FED E BCE

Un aumento così forte dei prezzi interroga le banche centrali sulle mosse future. Il primo a rispondere è Jerome Powell che, fresco di conferma, annuncia la nuova rotta della Federal Reserve: «Non possiamo più parlare di inflazione transitoria – dice –  Per riportare l’occupazione  ai livelli pre-pandemia ci serve una lunga espansione e la stabilità dei prezzi: un’inflazione elevata è un rischio».  La prossima riunione del consiglio direttivo della Fed esaminerà il programma di riduzione dei sostegni monetari. Vuol dire avviare il taglio degli acquisti di bond  che attualmente viaggiano al ritmo di 120 miliardi di dollari al mese.  

L’annuncio di Powell, unito alle notizie poco rassicuranti su Omicron,  ha manda in rosso i mercati finanziari:  ieri Milano ha perso lo 0,87%,  Londra lo 0,71%, Francoforte l’1,18% e  Parigi lo 0,81%.  La Bce non sembra intenzionata a seguire le indicazioni della Fed. Una parola di chiarezza arriverà dal direttivo del 16 dicembre, l’ultimo per quest’anno.  Nel frattempo Christine Lagarde continua a spendere parole rassicuranti raddoppiando gli sforzi per spiegare che l’impennata dei prezzi è un fattore assolutamente transitorio  guidato dall’energia e da una serie di contingenze passeggere. Preoccupa molto di più la recrudescenza del virus, vista la diffusione della variante Omicron: «Un rialzo dei tassi d’interesse adesso non avrebbe effetto sullo shock inflazionistico che sta colpendo l’economia europea – ha detto il capo della Bce durante un’audizione all’Europarlamento –  ma colpirebbe i redditi disponibili delle famiglie, ponendo un freno alla ripresa». 

Il vice presidente  Luis de Guindos, in un’intervista a Les Echos, ha spiegato che il bazooka monetario potrebbe restare in funzione anche oltre il termine previsto di marzo.   Anche Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della Bce, ha detto di recente all’emittente tedesca ZDF che «non ci sono segnali di una crescita dei prezzi che stia sfuggendo al controllo» e ha aggiunto che «se pensassimo che l’inflazione possa fermarsi stabilmente oltre il 2 per cento, reagiremmo senza ombra di dubbio. Tuttavia al momento non ci sono indicazioni in tal senso».

DUE FENOMENI INATTESI

Eppure la crescita dei prezzi è forte in tutti i Paesi dell’Eurozona.  In Germania, Paese storicamente allergico all’inflazione, la crescita è stata del 6%, toccando il massimo da 29 anni. Di poco inferiore il dato della Spagna (5,6%) mentre la Francia, con +3,4%, è al top da tredici anni. Quello che sta accadendo è sicuramente sorprendente. Non erano stati previsti  due fenomeni: innanzitutto la crisi del sistema di trasporti e rifornimenti, che ha prodotto una scarsità di beni di consumo e generi di prima necessità in tutto il mondo, dalle automobili ai microchip, dalla carta fino ai tacchini.

La ripresa della domanda dopo mesi di stop ha messo in difficoltà tutta la catena degli approvvigionamenti.

L’altro fenomeno, sempre frutto della ripresa rombante,  è la crisi energetica che ha colpito soprattutto l’Europa. I prezzi dell’elettricità sono cresciuti ovunque, a causa dell’aumento dei prezzi di gas e combustibili derivati dal petrolio e a causa dell’aumento dei costi per le aziende che producono energia.


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