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UNA leggenda indiana racconta di una tradizione delle tribù dei Kiowa, secondo la quale quando un uomo è in difficoltà deve raccogliere una pietra e mettersela in tasca e portarla con sé fino a quando il problema non sarà risolto. Soltanto allora potrà disfarsene e continuare nella sua vita a cuor leggero.
Immaginiamo per un attimo che questa usanza venga praticata dai nostri politici:avrebbero le tasche piene di pietre al punto tale da rimanere immobilizzati. In realtà, i nostri politici sono, come dire, “volatili”, non hanno le ali appesantite dalle gravi responsabilità che pure li riguardano, riescono a volare agevolmente, da un incarico all’altro, da una poltrona all’altra, senza colpo ferire.
La casistica al riguardo è sterminata: i Defilippo, i Santarsiero, che lasciano i loro nidi dopo averli sfasciati sistematicamente per approdare in postazioni più prestigiose, sono soltanto le punte avanzate dello stormo di politici-uccelli migratori che passano indisturbati sulle nostre teste da lunga data, sospinti dal vento che proviene dall’uso spregiudicato della spesa pubblica.
È senz’altro vero che la spesa in conto capitale, quella cioè che può fare crescita, si è andata riducendo, qui come altrove nel Mezzogiorno, allontanandosi dall’iniziale obiettivo del 45% del totale delle risorse nazionali per investimenti, ma è altrettanto vero che il Sud non ha saputo strutturare una proposta unitaria in tal senso con cui confrontarsi col Governo centrale per incapacità politica ed organizzativa.
La diatriba sulle troppe o poche risorse assegnate al Mezzogiorno lascia il tempo che trova: ciò che ha preliminarmente rilievo è che ciò che è affluito nel Mezzogiorno ed in Basilicata in particolare è stato utilizzato male, ha registrato sprechi inenarrabili.
In questo scenario, la Basilicata ha svolto una duplice funzione: ha esportato capitale umano , accollandosi i costi della sua formazione, materie prime come il petrolio e l’acqua, ricevendone in cambio fondi notevoli che hanno prodotto sottosviluppo permanente, per usare una efficace espressione della Svimez.
Non è un caso che la Basilicata sia la regione che in Italia dal 2001 al 2014 abbia registrato la caduta più alta della ricchezza prodotta: -16,8 del Pil (fonte Svimez, 2015).
Ma la flessione produttiva spiega solo in parte la gravità della crisi regionale: vivacchiamo, contando su trasferimenti statali sproporzionati rispetto alla popolazione e su fattori esogeni che poco o nulla hanno a che fare con eventuali meriti della classe dirigente regionale, riguardanti la grande industria meccanica e alimentare, entrambi fattori che drogano le statistiche regionali, dissimulando di fatto la drammatica realtà economica regionale.
A tale riguardo, va fatta una riflessione: come mai i lucani che lavorano alla Fiat o alla Barilla sono capaci di raggiungere livelli di produttività del lavoro elevatissimi, superiori a quelli americani o giapponesi e quelli che lavorano nella Pubblica Amministrazione hanno performance bassissime?
È evidente che il problema sta nella diversità degli obiettivi e delle capacità organizzative dei suddetti comparti: il divario si spiega con la inadeguatezza della Pa, della politica che la sottende nell’organizzare le risorse disponibili, finalizzandole a creare sudditi, rassegnati-reclamanti, depotenziando, quindi, gravemente quanto irresponsabilmente ciò di cui pure si dispone.
Il problema dunque è, come si dice banalmente, politico, di carenza di offerta politica, circostanza questa che spiega l’alto astensionismo nelle recenti elezioni.
A questo punto la domanda è: c’è futuro con questo assetto politico-istituzionale? Stando ai fatti finora realizzati, non si può che rispondere di no!
Lo stesso presidente Pittella ha sostenuto che stiamo morendo, anche se ha continuato imperterrito a fare come prima, se non più e peggio di prima, non muovendo un dito per riformare i suoi uffici, per uscire dalla palude assistenziale che caratterizza gli enti strumentali (consorzi di bonifica, Acquedotto lucano, Alsia, Ater, ecc.), finanziando attività come le politiche del lavoro sostanzialmente passive (formazione, reddito ponte per l’occupazione, ecc.), misure assistenziali per la forestazione, ammortizzatori sociali fini a se stessi, una sanità malata, un welfare improbabile e insostenibile.
Visto che i luoghi terzi (Università, Chiesa cattolica, borghesia imprenditoriale e professionale) latitano, sarebbe auspicabile che la politica, quella con la p maiuscola, riprenda la sua funzione di guida della società e delle sue istituzioni: terreno prioritario di avvio di un processo di cambiamento non può non essere il Pd lucano, anch’esso purtroppo malato terminale. Renzi faccia veramente il rottamatore: commissari il partito lucano ed avvii una fase di rifondazione della sua classe dirigente, puntando su giovani capaci di interpretare le esigenze e i bisogni di una sinistra moderna, non quella fatta di chiacchiere, fumisterie ideologiche e distintivi oggi operante.  

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