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«Dopo i diversi tentativi di intimidazione aperta e violenta, da qualche mese a Reggio Calabria si sta sviluppando una ‘strategia della confusione’ per mettere sullo stesso piano, quanto meno sui media, i mafiosi e chi con i mafiosi intrattiene rapporti illeciti e chi, invece, i mafiosi li arresta e li processa». Lo afferma il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nell’intervista pubblicata sull’edizione di oggi del “Quotidiano della Calabria”, facendo riferimento alle recenti dichiarazioni di detenuti per mafia contro la Procura di Reggio Calabria e la polizia giudiziaria.
«Reputo normale – aggiunge Pignatone – questo tipo di polemiche. Un’azione repressiva efficace determina anche la reazione di chi ne è colpito o si sente minacciato. Del resto, in 30 anni di contrasto alle mafie, in Sicilia come in Calabria ed in Campania, il tentativo è stato sempre quello di bloccare i processi dicendo che i pentiti erano manovrati, che le dichiarazioni erano suggerite o addirittura estorte e che i magistrati erano mossi da strategie politiche o ambizioni personali, e così via. Questo non toglie che, come ho detto altre volte, ogni accusa va verificata nella competente sede processuale ed io sono sicuro che presto ogni cosa sarà chiarita».
Pignatone parla nell’intervista della reazione della ‘ndrangheta all’assalto massiccio dello Stato: la bomba alla Procura generale del 3 gennaio, al termine dell’estate, il 26 agosto, l’esplosione dell’ordigno davanti al portone d’ingresso dell’abitazione del procuratore Salvatore Di Landro, il 5 ottobre il bazooka fatto ritrovare nei pressi della Procura e “indirizzato” a Pignatone. E ancora la visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del 21 gennaio, con il ritrovamento lungo il percorso di un’autovettura imbottita di armi e ordigni. E poi altre intimidazioni ai magistrati reggini.

0000cc]L’intervista integrale è pubblicata sull’edizione
del “Quotidiano della Calabria” oggi in edicola

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