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ROMA – In Italia c’è capitale, ce n’è anche «tanto». Il problema è che non viene usato. I risparmi delle famiglie rimangono nel cassetto, 8 milioni di persone, soprattutto i giovani, non si trasformano in energia lavorativa e il «ricco» patrimonio culturale non riesce a produrre valore. Di fondo, mancano le aspettative. Gli italiani «soli» e «narcisi» del «selfie» si sentono vulnerabili, il 60 per cento pensa che da un momento all’altro chiunque potrebbe finire in povertà. Per questo prevale la filosofia dell’ «attendismo cinico» (per cui non si investe e non si consuma). È un’Italia ancora incerta quella che emerge dal Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2014 del Censis. Gli effetti della crisi si fanno ancora sentire: aumentano le famiglie a «consumo zero» (tagli su pranzi e cene fuori e viaggi in auto), aumentano le diseguaglianze, c’è meno integrazione, il ceto medio si corrode, con «rischio di tensioni se si rompe l’equilibrio» e nascono meno figli.

In casa prevale il cash di tutela

Tra il 2007 e il 2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite tranne i contanti e i depositi bancari (+4,9%). A giugno 2014 questi sono cresciuti fino a 1.219 miliardi di euro. I risparmi servono far fronte a possibili imprevisti (45% famiglie) o per sentirsi semplicemente le spalle coperte (36%).

Poveri giovani, capitale umano non è “agito”

Sono quasi 8 milioni gli individui non utilizzati in Italia: 3 milioni di disoccupati, 1,8 mln di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. Più penalizzati i giovani: i 15-34enni sono il 50,9% dei disoccupati totali.

Sos ragazzi, famiglie costrette ad aiutarli

Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre un milione non riesce ad arrivare a fine mese. Sono 2,4 milioni quelli che ricevono «regolarmente o di tanto in tanto» un aiuto economico dei propri genitori.

Imprese restie su alternanza scuola-lavoro

Secondo i dirigenti scolastici, i percorsi di alternanza scuola-lavoro forniscono una maggiore conoscenza del mondo del lavoro (66,2%), anche in funzione orientativa per l’eventuale scelta di proseguire negli studi (47,3%), ma ci sono ancora difficoltà nel coinvolgere le aziende e il mondo del lavoro in genere (47%).

Patrimonio culturale non produce valore

Nel 2013 il settore della cultura, fa notare il Censis, «ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia. La quinta destinazione turistica al mondo arranca anche sul piano dello sviluppo del patrimonio e il numero dei lavoratori (304 mila, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello di Regno unito (755mila) e Germania (670mila).

Ceto medio corroso, tensioni in periferie

L’Italia «ha fatto della coesione sociale un valore e si è spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine», ma le problematicità ormai incancrenite di alcune zone urbane «non possono essere ridotte ad una semplice eccezione». Se si rompe l’equilibrio nelle periferie, ha affermato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, e si «va verso la preponderanza di stranieri, come è successo a Tor Sapienza, allora scatta la tensione». Se «invece si mantiene una giusta interazione, articolazione e distribuzione di realtà diverse, probabilmente la crisi non c’è».

Con spending review disparità di cura

Per la metà degli italiani (50,2%) le politiche di contenimento del deficit degli ultimi anni (manovre sulla sanità, spending review e Piani di rientro) hanno aumentato le disparità nelle opportunità di cura.

Politica sia arte di guida

E’ l’auspicio di De Rita. La politica corre tre pericoli: «il secessionismo sommerso, il populismo e l’autoritarismo», deve riprendere la «sua funzione di promotore dell’interesse collettivo».

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