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LOCRI – «Credevo che allo Stato non gliene importasse niente delle persone, lo Stato era quello che ti portava via da casa. In questi mesi ho conosciuto uno Stato diverso, che non mi ha voluto cambiare a tutti i costi, che per una volta ha cercato di capire chi ero io davvero. Non rinnego la mia famiglia, ho deciso che la mia vita deve essere diversa. Ora posso scegliere. Posso puntare in alto. Ci sono tanti ragazzi come me che avrebbero bisogno di uno Stato così. Non credono che esista. Io l’ho conosciuto e scrivo questa lettera perché anche gli altri lo sappiano». Chi scrive è Riccardo Cordì, e non da una località protetta o lontana dalla Calabria, ma da Locri. Riccardo Cordì è figlio del defunto boss Cosimo Cordì, ha due fratelli al 41 bis ed era considerato il giovane rampollo del clan di Locri. Ha scritto una lettera indirizzata al direttore del Corriere della Sera, adesso Cordì ha 18 anni, quando ne aveva 16 il Tribunale dei Minori di Reggio Calabria lo aveva allontanato dalla famiglia, e da Locri, eseguendo uno dei provvedimenti civili di decadenza o limitazioni della responsabilità genitoriale, con allontanamento temporaneo dei figli sino ai 18 anni, allo scopo di sottrarne lo sviluppo psicofisico ai deteriori modelli educativi mafiosi. Pochi giorni fa la lettera spedita proprio da Locri al “Corsera” da Riccardo Cordì oggi maggiorenne: «Adesso posso scegliere» ha scritto quello che probabilmente oggi è un giovane come tanti che vuole scrollarsi di dosso etichette e fardelli. 

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