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REGGIO CALABRIA – Ha negato di avere mai ricevuto favori dall’ex procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Alberto Cisterna e ha affermato che dopo il pentimento del fratello Nino gli era stato proposto dall’ex dirigente della squadra mobile di Reggio Calabria Renato Cortese di diventare collaboratore di giustizia. Luciano Lo Giudice, ritenuto il capo dell’omonima cosca, ha fatto oggi dichiarazioni spontanee in videoconferenza nel processo in cui è imputato insieme a presunti affiliati alla sua cosca. Secondo quanto riferito da Lo Giudice, ci sarebbe stato un incontro a tal fine nel carcere romano di Rebibbia a cui avrebbero partecipato, oltre a Renato Cortese, anche l’allora procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e il procuratore aggiunto Michele Prestipino. «L’unica iniziativa mia – ha detto Lo Giudice – è stata quella di scrivere alla Dna di Roma per rappresentare le gravi condizioni di vita all’interno del supercarcere di Tolmezzo dove ero detenuto al 41 bis, una condizione che poteva anche indurre al suicidio». Il fratello di Luciano Lo Giudice è Antonino, divenuto collaboratore dopo l’arresto e che si è autoaccusato, chiamando in causa anche il fratello, degli attentati a Reggio Calabria del 2010. 

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