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LA distanza tra città e università si è fatta più dura negli anni, «con colpe di entrambe le parti». Oppure – vale anche la tesi di un punto di vista diverso – semplicemente le due comunità (che sono contemporaneamente strutture, istituzioni e un pezzo di sviluppo regionale) non si sono mai integrate. E adesso provare a recuperare è difficile. 
Ma se vale la regola che da qualche parte bisogna cominciare, a Potenza hanno deciso di farlo nel luogo più pubblico che c’è, il consiglio comunale. Spostato, per l’occasione, nella seduta speciale di ieri mattina, proprio nell’aula magna dell’università cittadina. Occasione utile a fare il punto, cosa va e cosa no, miti da sfatare, critiche su cui riflettere. Occasione persa, forse, per tanti: al dibattito ieri mattina, pochissimi gli studenti presenti, ancora meno i rappresentanti di un tessuto sociale che spesso (davvero spesso) lamenta quella distanza. La politica cittadina, poi, ha provato a discuterne: ma il dibattito in aula non basta. L’università negli ultimi anni è cambiata. E’ cambiata la società. Le prospettive, la condizione e gli obiettivi di due generazioni di studenti sono, con frequenza,  molto più dure di quelle di qualche anno fa. 
Ma tornare indietro serve a raccontare che un tempo il fermento universitario non era un miraggio. Erano gli anni ‘70, c’erano la Fuci e il circolo universitario, c’erano i movimenti degli studenti che spesso tornavano a casa. L’università qui ci arriva solo dopo il terremoto, con la legge 219, quella della ricostruzione e che finanzia l’ateneo con «sede in Potenza». Il punto, allora, è ricostruire le condizioni perchè ateneo e città comincino a costruire quotidianità comune. E sviluppo collettivo. 
Comincia da qui, Salvatore Lacerra, del gruppo Mpa. E’ lui quello incaricato di spiegare perché l’opposizione ha voluto un consiglio comunale dedicato al rapporto università-città. «La città non è ancora pronta – dice – Dovremmo decidere tutti noi che ruolo dare all’ateneo». Mancano i luoghi, gli spazi, i fondi e le iniziative. «Eppure, in alcuni casi, si può fare molto con poco. Pensiamo ad alcuni contenitori, come il centro sociale di Malvaccaro, oggi inutilizzati. Il Comune potrebbe metterlo a disposizione, senza grandi spese». 
A parlare di università e città i riferimenti si riannodano alle aspettative, a pezzi di storia amministrativa, ad aspirazioni. Le richieste sono tre: l’istituzione della facoltà di medicina; la riscrittura dello statuto  cittadino con la previsione di un organismo dedicato al rapporto tra le due istituzioni; la destinazione dell’ex caserma dei vigili del fuoco a un centro di ricerca universitario. 
Non tutto si potrà realizzare. E su alcuni punti bisogna fare chiarezza. «Siamo assolutamente aperti a suggerimenti», dice il rettore Mauro Fiorentino. In ateneo, spiega, hanno voglia di dialogare con la città. «Certo che ci piacerebbe la facoltà di medicina, ma cominciamo col dire che è la legge nazionale a dire che non se ne possono istituire di nuove in Italia. Se vogliamo ragionarci, va bene. Ma spetta alla politica creare le condizioni perchè anche discuterne abbia un senso». Oppure «ragioniamo su dottorati di ricerca, se ci sono risorse di progetto ed economiche, proviamo a vedere magari se qualche università americana vuole dare contributo. Ma la politica faccia il suo lavoro: gran parte dei vincoli vengono da lì». 
L’università che racconta il rettore è quella che – come e più di altre amministrazione pubbliche – è piegata dai tagli, stretta nelle maglie di una riforma «con alcuni buoni obiettivi e altrettanti drammatici risultati». Fiorentino difende a denti stretti l’ateneo – studenti, docenti, personale – sapendo che «certo, sulle strutture bisogna lavorare». Nel frattempo, vale la pena sfatare qualche luogo comune. «Gli iscritti non sono in calo, si attestano intorno ai 9.500 (1.000 i laureati ogni anno)».
Il 18 per cento proviene da Puglia e Campania: «Tra le università del Sud svettiamo. Basti pensare che l’ateneo napoletano “guadagna” solo un 2 per cento di studenti esterni. E Basta pure con questa storia – sorride allentando le briglie – che i nostri studenti sono “sfigati”: i nostri ragazzi sono bravi, parlano i voti, le lauree e i diplomi». E la premialità arriva anche sulla ricerca. «Senza la legge regionale di sostegno all’università avremmo dovuto chiudere nuovi cicli di studio, tagliare ulteriormente i servizi». Ma rispondono, conclude, garantendo contenuti di eccellenza. 
Sara Lorusso

LA distanza tra città e università si è fatta più dura negli anni, «con colpe di entrambe le parti». Oppure – vale anche la tesi di un punto di vista diverso – semplicemente le due comunità (che sono contemporaneamente strutture, istituzioni e un pezzo di sviluppo regionale) non si sono mai integrate. E adesso provare a recuperare è difficile. Ma se vale la regola che da qualche parte bisogna cominciare, a Potenza hanno deciso di farlo nel luogo più pubblico che c’è, il consiglio comunale. Spostato, per l’occasione, nella seduta speciale di ieri mattina, proprio nell’aula magna dell’università cittadina. Occasione utile a fare il punto, cosa va e cosa no, miti da sfatare, critiche su cui riflettere. Occasione persa, forse, per tanti: al dibattito ieri mattina, pochissimi gli studenti presenti, ancora meno i rappresentanti di un tessuto sociale che spesso (davvero spesso) lamenta quella distanza. La politica cittadina, poi, ha provato a discuterne: ma il dibattito in aula non basta. L’università negli ultimi anni è cambiata. E’ cambiata la società. Le prospettive, la condizione e gli obiettivi di due generazioni di studenti sono, con frequenza,  molto più dure di quelle di qualche anno fa. Ma tornare indietro serve a raccontare che un tempo il fermento universitario non era un miraggio. Erano gli anni ‘70, c’erano la Fuci e il circolo universitario, c’erano i movimenti degli studenti che spesso tornavano a casa. L’università qui ci arriva solo dopo il terremoto, con la legge 219, quella della ricostruzione e che finanzia l’ateneo con «sede in Potenza». Il punto, allora, è ricostruire le condizioni perchè ateneo e città comincino a costruire quotidianità comune. E sviluppo collettivo. Comincia da qui, Salvatore Lacerra, del gruppo Mpa. E’ lui quello incaricato di spiegare perché l’opposizione ha voluto un consiglio comunale dedicato al rapporto università-città. «La città non è ancora pronta – dice – Dovremmo decidere tutti noi che ruolo dare all’ateneo». Mancano i luoghi, gli spazi, i fondi e le iniziative. «Eppure, in alcuni casi, si può fare molto con poco. Pensiamo ad alcuni contenitori, come il centro sociale di Malvaccaro, oggi inutilizzati. Il Comune potrebbe metterlo a disposizione, senza grandi spese». A parlare di università e città i riferimenti si riannodano alle aspettative, a pezzi di storia amministrativa, ad aspirazioni. Le richieste sono tre: l’istituzione della facoltà di medicina; la riscrittura dello statuto  cittadino con la previsione di un organismo dedicato al rapporto tra le due istituzioni; la destinazione dell’ex caserma dei vigili del fuoco a un centro di ricerca universitario. Non tutto si potrà realizzare. E su alcuni punti bisogna fare chiarezza. «Siamo assolutamente aperti a suggerimenti», dice il rettore Mauro Fiorentino. In ateneo, spiega, hanno voglia di dialogare con la città. «Certo che ci piacerebbe la facoltà di medicina, ma cominciamo col dire che è la legge nazionale a dire che non se ne possono istituire di nuove in Italia. Se vogliamo ragionarci, va bene. Ma spetta alla politica creare le condizioni perchè anche discuterne abbia un senso». Oppure «ragioniamo su dottorati di ricerca, se ci sono risorse di progetto ed economiche, proviamo a vedere magari se qualche università americana vuole dare contributo. Ma la politica faccia il suo lavoro: gran parte dei vincoli vengono da lì». L’università che racconta il rettore è quella che – come e più di altre amministrazione pubbliche – è piegata dai tagli, stretta nelle maglie di una riforma «con alcuni buoni obiettivi e altrettanti drammatici risultati». Fiorentino difende a denti stretti l’ateneo – studenti, docenti, personale – sapendo che «certo, sulle strutture bisogna lavorare». Nel frattempo, vale la pena sfatare qualche luogo comune. «Gli iscritti non sono in calo, si attestano intorno ai 9.500 (1.000 i laureati ogni anno)».Il 18 per cento proviene da Puglia e Campania: «Tra le università del Sud svettiamo. Basti pensare che l’ateneo napoletano “guadagna” solo un 2 per cento di studenti esterni. E Basta pure con questa storia – sorride allentando le briglie – che i nostri studenti sono “sfigati”: i nostri ragazzi sono bravi, parlano i voti, le lauree e i diplomi». E la premialità arriva anche sulla ricerca. «Senza la legge regionale di sostegno all’università avremmo dovuto chiudere nuovi cicli di studio, tagliare ulteriormente i servizi». Ma rispondono, conclude, garantendo contenuti di eccellenza. Sara Lorusso

 

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