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POTENZA – Ha guidato gli investigatori che nel 2006 hanno stanato il capo dei capi di cosa nostra, Bernardo Provenzano. Giuseppe Gualtieri, 61 anni, era direttore della Squadra Mobile di Palermo – per tutti la “Catturandi” – quando la latitanza di Zù Binnu fu troncata dopo 43 anni di imprendibilità. Un lavoro di investigazione pura, che non si avvalse di soffiate o di informazioni rivelate da collaboratori di giustizia. Così come, oggi sappiamo, avvenne per Totò Riina.
Ora, per il poliziotto di origini calabresi, numero uno della Direzione centrale antidroga e della Polizia scientifica, già questore di Trapani e poi di Caserta è il momento di una nuova sfida.
È lui l’uomo, anzi lo sbirro sbirro, che ieri si è insediato ufficialmente alla guida della Questura di Potenza.
Tono sicuro, affabile, sorridente e a suo agio. Questo è Giuseppe Gualtieri, il “signor Catturandi” e non ce ne voglia se gli affiabiamo questa etichetta ma la storia è la storia.
Anche se di “quella storia” non ne parla. Anzi si schernisce davanti a chi tenta di strappargli un qualcosa in più su quell’aprile del 2006 e sul suo faccia a faccia con “u ziu Binnu”.
Quasi che quel giorno per lui e per i suoi uomini – «da soli – dice guardando negli occhi quelli che da oggi saranno al suo fianco – non si va da nessuna parte. Solo il lavoro di squadra premia» – fosse stato un giorno come un altro.
Non parla molto – «voi sapete chi sono e io so chi siete» – ma fa capire che sa benissimo dove è arrivato e cosa deve fare.
Perché se per un secondo il pensiero potrebbe essere quello che Gualtieri sia stato mandato a Potenza in “esilio” bastano un paio di sue frasi – «Sono un uomo del Sud e so che il Sud è in ascesa a livello economico e questo significa che dove girano soldi inevitabilmente ci sono infiltrazioni criminali» – per comprendere che in realtà la situazione è ben diversa. Lasciando comprendere, neanche velatamente, che oggi più di ieri la Basilicata non è la regione felice che ancora alcuni pensano sia.
Anzi. Gli interessi criminali – «corruzione in primis» – si vanno strutturando. E più si strutturano e più diventano endemici.
E se da una parte c’è il potenziale della crescita che attira i cosidetti “colletti bianchi” dall’altra c’è la crisi occupazionale che può diventare un bacino da cui attingere manovalanza mafiosa.
Giuseppe Gualtieri ha in poco meno di 10 minuti – «questo forse è il discorso di insediamento più lungo che abbia fatto sino a oggi» – analizzato e riassunto i fenomeni criminali che interessano il capoluogo e la sua provincia.
Insomma niente Basilicata felix. «Occorre fare sempre di più e tenere sempre alta l’attenzione così come è necessario — ha aggiunto — lavorare per una rivoluzione culturale che deve venire dalla gente». Perché «il silenzio è dei colpevoli» e favorisce le infiltrazioni soprattutto quando ci si trova di fronte realtà, come quella lucana, dove i confini sono labili e le commistioni sono più facili anche se non bisogna – Gualtieri non lo dice apertamente ma lo lascia intuire – enfatizzare troppo i fenomeno criminali sia che si chiamino mafia, camorra, ‘ndrangheta o colletti bianchi.
Ci si trova sempre e comunque di fronte a criminali puri e semplici. Delinquenti il cui unico scopo è campare sulle spalle degli altri. Delinquenti che si sono arricchiti prospettando strade ingannevoli a coloro che, presi dal bisogno e dalla fame, nessuno ha offerto una via d’uscita.
Affiancato dal suo vice Sallustio, dal dirigente della Digos, Geltride e dal capo di Gabinetto Padula, Gualtieri – «credo fortemente nel lavoro di squadra e qui ho trovato una squadra valida» – ha chiesto alla stampa di «dare una mano per far capire alle persone il senso del nostro operato». Vanno forniti concetti chiari su ciò che è legale e su ciò che non lo è ma soprattutto su quelli che sono i valori da seguire.
Ora non rimane che mettersi a «lavorare in silenzio perchè non sono venuto a Potenza in vacanza – dice sorridendo – anche se non voglio passare per un Torquemada».

a.giammaria@luedi.it

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