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«Il tempo dell’attesa e delle parole è finito. La situazione in cui versa la nostra regione ha assunto un tale livello di gravità da richiedere una forte presa di coscienza da parte di tutti (cittadini, Enti Locali ed Istituzioni a tutti i livelli) e da richiedere interventi improcrastinabili». L’allarme arriva da Legambiente Calabria che «denuncia da anni, attraverso i dossier sul rischio, le campagne di informazione e le giornate di mobilitazione, la fragilità della Calabria e lo scempio del territorio che ha subito negli anni pesantissimi interventi di cementificazione, urbanizzazione selvaggia, disboscamento, occupazione degli alvei dei fiumi ad opera di infrastrutture pubbliche e private. Intubazione di torrenti, costretti in spazi sempre più ristretti, invasi da rifiuti e discariche di ogni tipo. Incendi boschivi che distruggendo le aree verdi e la macchia mediterranea favoriscono lo sgretolamento delle colline, l’abbandono dell’agricoltura e dei terrazzamenti, la mancanza di manutenzione ordinaria, di pulizia dei tombini nelle città, e così via».
«Ogni anno – prosegue la nota di Legambiente – l’abbandono del territorio esige il suo tributo di vittime, senza contare i danni materiali che costano ogni anno migliaia di euro, denaro che sarebbe molto più utile utilizzare per prevenire. Solo negli ultimi 24 mesi la Protezione Civile ha dovuto stanziare 15.000.000,00 di euro per la frana di Maierato, 700.000,00 euro per interventi nel Comune di Belvedere Marittimo e 7.000.000,00 di euro per interventi urgenti di protezione civile sempre a causa del maltempo. Eppure nulla si muove. Ma è ormai chiaro che i cambiamenti climatici sono ormai in atto e che eventi cosiddetti «eccezionali» saranno sempre più «ordinari» e renderanno sempre più inefficace una politica che non punta sulla prevenzione bensì su interventi in emergenza. Ma quanto denaro pubblico è stato speso? E quali sono i risultati ottenuti?».
Legambiente aggiunge che «come associazione abbiamo sempre accompagnato le nostre proteste con proposte concrete, che ci teniamo a ribadire anche in questa occasione, in primis la necessità di abbandonare la politica delle grandi opere pubbliche inutili, per puntare invece sulla messa in sicurezza, sulla manutenzione e sulla cura del territorio come grandi opere pubbliche».
«Emerge in maniera chiara come sia ormai indispensabile porre in atto degli interventi di delocalizzazione degli edifici, delle strutture e delle attività presenti nelle aree a rischio, così come è stato fatto sul Vesuvio. È un intervento difficile, da programmare con cura e attenzione e con il consenso delle popolazioni, ma è necessario avere il coraggio di dire che, in alcuni contesti, è l’unico intervento idoneo a salvaguardare la sicurezza delle popolazioni. Nella programmazione, poi – dichiara l’associazione ambientalista – è indispensabile adeguare lo sviluppo territoriale alle mappe del rischio, per evitare la costruzione nelle aree a rischio di strutture residenziali o produttive e per garantire che le modalità di costruzione degli edifici tengano conto del livello e della tipologia di rischio presente sul territorio. Dopo anni di sviluppo selvaggio occorre ricominciare a dare spazio alla natura e dedicare attenzione, fondi e risorse alla cura del territorio. Restituire, cioè, lo spazio necessario per i corsi d’acqua creando e rispettando le «fasce di pertinenza fluviale» per permetterne un’esondazione diffusa ma controllata. Attuare una manutenzione ordinaria del territorio che non sia sinonimo di artificializzazione, ma di interventi mirati e rispettosi degli aspetti ambientali. Torrenti e fiumare devono diventare «sorvegliati speciali», perchè la storia del nostro territorio ci insegna che gli eventi peggiori si verificano in loro prossimità. Insieme alla prevenzione degli incendi che creano il disboscamento aggravando il rischio di frane, andrebbe intrapreso – come da noi proposto ormai da lungo tempo – anche un potenziamento del verde urbano e di riqualificazione delle aree collinari, recuperando antichi saperi e incentivando il ritorno ad una agricoltura che per decenni ha avuto il merito di manutenere i territori. Bisogna poi rafforzare le attività di controllo e monitoraggio del territorio per contrastare illegalità come le captazioni abusive di acqua, l’estrazione illegale di inerti e l’abusivismo edilizio. Infine – conclude Legambiente – bisogna avviare una politica attiva di «convivenza con il rischio» con sistemi di allerta, piani di protezione civile aggiornati e con un’adeguata informazione e esercitazione tra la popolazione».

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