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Traggo il titolo per questo veloce intervento su Matera, capitale Europea della cultura, da un volumetto che –sulla scia di Swift- Giuseppe Prezzolini pubblicò con Scheiwiller nel ’75 a commento dello stato dell’Italia ed erano, così come intendo ora, “scritte per svago di mente, sfogo di sentimenti e tentativo di istruzione pubblica”.

Il pretesto me lo dà la querelle Di Consoli-Adduce: il nettare pamphlettistico, stimolante e provocatorio, di Andrea Di Consoli viene frainteso e ne vien fuori da parte di Adduce una alfabetizzazione comparativa inadeguata e perdente (gli eventi di tutto rilievo internazionale…..), l’eco di recinti ideologici, l’assenza di un disegno con gambe e cervelli riconoscibili, la proposta di “un pensiero più umanista”.

E sono portato ad immaginare il mio vecchio amico Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, signore del diritto ed intellettuale acuto e profondo, aggirarsi col suo sorriso accennato e sornione nella Scuola Grande di San Rocco, sommerso dall’arte del Tintoretto!

E allora, ecco –laicamente, con l’occhio e il cuore ad una città che amiamo-, costruttivamente le modeste proposte:

1)-Matera 2019 nacque come un seme del mio programma elettorale, ma senza timbri di partito nè certificati di origine della politica: e fu subito la sfida di un gruppo di giovani –che vanno sempre riconosciuti e ringraziati. Va ripreso lo spirito della nascita e della fondazione: l’appartenenza è della città che va coinvolta nella sua interezza. Molto entusiasmi si sono attenuati ed affiorano gli schematismi burocratici (è l’antico vizietto del marxismo).

Gli antichi promotori, e quanti se ne arrogano l’autorità, convochino subito gli stati generali: con Matera è in gioco l’intera Regione. Non ci servono pacche sulle spalle: siamo un modello, ebbene, facciamoci avanti insieme.

La politica ha altri –e pur convergenti- ruoli: si colga la opportunità di finalizzare alla candidatura le scelte strategiche, insomma il destino di una città che deve uscire dalla logica del mattone sul mattone;

2)-Matera non basta e la sua storia va letta con storicistica universalità. La Matera degli anni ’50 serve, ma è un passo di un cammino, che va ripensato e riespresso cogliendone l’anima. Si può anche inserire una tessera pasoliniana (ma la cittadinanza a Irazoqui, transitorio passeggero, è maquillage): nel mosaico rimettiamo la dorsale federiciana, i legami con la Puglia (la terra d’Otranto), lo “spirito del silenzio” (grande Sinisgalli!) che attraversa la nostra storia di sofferenze e di dignità (dai cenobi bizantini all’alba del 1799, dal seminario che diventa un grande Liceo Classico agli intellettuali che hanno innervato il novecento: uno per tutti, Giuseppe de Robertis);

3)-Matera deve ricercare e stringere le alleanze con il nostro territorio e con la Puglia. Lanciamo un appello e chiamiamo a raccolta i grandi materani che affollano le università e che animano le città d’Italia e del mondo. I luoghi del loro lavoro diventino la rete della persuasione e della influenza. Uniamo le forze della nostra regione (l’anima e la cultura di Don Giuseppe De Luca da Sasso, il genio giuridico da Avigliano, la Rabatana con Pierro da Tursi, l’albero dell’Unità da Corleto e così via per i cento trenta comuni) e parliamoci chiaro con la Puglia e con Bari. Una competizione con Bari non è utile: e Bari deve capire che la cifra della nostra città si identifica con un crocevia di civiltà rappresentativo della storia del Sud.

4)-Matera e i Sassi. Non più cartolina illustrata (riaffiorano tentativi ludico-commerciali di basso conio). Anche l’uomo e il mulo vanno superati attraverso una lettura di umanizzazione: l’orma e il cammino dell’uomo. Alfa e omega tra le gravine e le murge, con lo spontaneismo urbanistico e la organizzazione sociale. Ed emerge qui –con l’invito a ritrovare il mistero della vita e delle origini- la necessità seria, non oleografica, del Museo dell’Uomo, nell’alternarsi –tra il bene e il male- della sua apparizione e del suo transito.

5)-Matera e le energie. Servono quelle umane (Raffaele De Ruggieri e i nostri autentici concittadini onorari Peppino Appella e Michele D’Elia e quanti, senza che nessuno si impanchi a novello Minosse, sono in grado (cosa diversa dalla dopolavoristica disponibilità) di offrire un contributo. Il volontariato serve, ma è insufficiente. Occorre una strutturazione snella ed articolata ad un tempo, con competenze collaudate e con risorse adeguate. Si trovano anche queste, o meglio si possono trovare, in relazione alla autorevolezza di chi chiede e alla qualità della proposta.

La cultura –e se me lo permette, lo voglio ricordare insieme con Andrea di Consoli, al quale mi lega il gusto della lettura- non è una meta fissa ed immobile, un patrimonio stabilizzato: chi crede di essere arrivato a possedere la cultura, o non è un uomo colto o sta cessando dall’esserlo. Si conserva la capacità di cultura soltanto con il mettere in forse quello che si sa, o che si crede, di sapere.

E’ questo lo spirito per competere.

Emilio Nicola Buccico

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