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Sul Tatami con Andrea Di Consoli, per parlare del suo documentario “Mater Matera”, prodotto da Clipper Media in collaborazione con Rai Cinema, regia Simone Aleandri. Mater Matera è stato di recente proiettato al Lucania Film Festival di Pisticci
Nelle sequenze iniziali racconti con parole poetiche lo struggimento che ti provoca la bellezza di Matera. Perché oggi Matera ci appare così bella? Perchè con un paradosso dici che vorresti che Matera non fosse mai esistita?

«Perché la bellezza è sempre dolorosa, almeno per me. Mi fa male sempre, la bellezza, perché penso a quel che c’è nascosto dentro, come un tremore, oppure a quello che le sta intorno: le cose brutte, le rovine, la morte. La bellezza del mondo, o di alcuni pezzi di mondo, rende più insostenibile questa nostra fragilità, questo nostro cadere. Non metto più piede in tanti posti che reputo di lancinante bellezza. Ne ho quasi paura. Preferisco immaginare che non ci siano più. Mi sento a mio agio solo in alcuni interstizi anonimi del mondo: una periferia, un bar di paese, un autogrill di autostrada. Invidio chi affronta a viso aperto la bellezza senza sentirne lo strazio, la nostalgia, il pianto nascosto».   

Che cosa ha significato raccogliere la testimonianza diretta di chi ha conosciuto di persona tre personaggi che hanno un valore quasi mitologico rispetto alla nostra identità culturale come Caro Levi, Rocco Scotellaro e Pier Paolo Pasolini?

«Significa stare pienamente nella mia lingua. Io posso oggi parlare con Mo Yan o con Amos Gitai, ma la mia lingua interiore vera la conoscono solo loro, i miei padri vivi o morti della Basilicata. Quando Trufelli mi parla di Carlo Levi provo le stesse sensazioni che provavo quando nonno Angelo mi parlava di mio padre o di suo padre. Ho una mente contorta e semplice allo stesso tempo. Ho rotto dentro di me vecchi schemi della mia terra, ma poi m’inchino sempre di fronte a questi padri. Sono diventato adulto e padre a mia volta, ma i padri mi mancano sempre. Mi piace l’odore dei padri, il loro tremore sicuro, la dolcezza nascosta nella durezza, le lacrime sempre lì lì per uscire. Spero che non ci sarà mai un’età della vita nella quale si possa fare a meno dei padri, finanche nell’estrema vecchiaia.

Credo che l’idea più forte del film sia quella del parallelismo tra Matera edificata da una civiltà oggi scomparsa e la scomparsa della memoria del nostro passato antico e recente. Nel film ha un peso importante la riflessione sulla marginalità cui sono relegate le produzioni culturali ed in particolare la ricerca letteraria. Cosa ne pensi del fatto che oggi Matera da ex capitale ideale della società contadina si reinventi come capitale europea della cultura?

«Ci sono dentro fino al collo, questa metamorfosi mi appartiene, anche se è piena di contraddizioni. Tutto cambia, sempre, ogni santo secondo. Il mondo è un flusso potentissimo. Mi esalta e mi uccide allo stesso tempo, questo flusso inarrestabile. Da un lato vorrei che il mondo non cambiasse mai, dall’altro mi sento parte attiva di questo flusso. Tutti noi abbiamo nell’anima una parte mondana e realista e una parte mitologica e onirica. Nostalgia e fame di futuro fanno scintille, nelle nostre anime moderne e antiche. Bisogna non pensarci troppo, alle cose perdute, oppure alle cose che non ci piacciono. Nonostante tutto, bisogna sforzarsi sempre di essere felici, anche se si è disperati».  

Nel documentario paventi la possibilità che nella società contemporanea gli intellettuali siano relegati ad esercitare come unica possibile funzione quella di guide turistiche. Ci spieghi meglio questa tua idea?

«Tutto il mondo si è messo in cammino, tutti hanno una voce. Il silenzio del mondo è un vecchio ricordo di epoche trapassate. L’intellettuale è costretto a scendere per strada, a mettersi in fila con gli altri e come gli altri. Sono cadute tutte le rendite, e i vecchi schemi non funzionano più. Potrei dire che mi fa orrore, questa massa globale che satura ogni spazio possibile delle stesse parole, ma sarebbe un’ammissione di sconfitta, un romantico tirarsi fuori dalla realtà. Quel che è la cultura lo decide il flusso del mondo. L’intellettuale è nessuno, se non tiene conto di questo flusso. Ora l’intellettuale va in giro con questo mondo in cammino, e non può che ammettere di non sapere niente, di questo mondo che si rimpicciolisce e che si mescola velocemente. E’ un turista, ormai. Al massimo, una guida turistica».  

Il documentario racconta non solo Matera ma qualcosa di profondo sulla Basilicata e sul Mezzogiorno d’Italia. Matera è un caso unico di “città d’arte” edificata non dai nobili, dalla chiesa o dalla borghesia ma da una civiltà contadina tradizionale. Però nel documentario ci mostri anche che non c’è nessuna nostalgia di quella civiltà da parte di chi l’ha vissuta.

«Qui realismo e onirismo mitologico cozzano tantissimo. E’ chiaro che io onoro i miei padri lucani, ma come posso dar torto a chi dice che oggi si ha il bagno in casa, la casa bella, il cellulare, la macchina, l’antibiotico, la posta elettronica? I topi che ballavano nei Sassi, come dice nel film Giovanni Caserta, sono ora dentro di me. Solo dentro di me ci sono i maiali che grugnivano tra i corpi malarici dei materani febbricitanti. Ma come posso dire a qualcuno che era meglio ieri, l’altrieri? Il mondo è sempre migliore domani, se si vuole stare in società, e io in società ci voglio stare, perché la solitudine mi fa pena, mi fa male. Gli struggimenti me li tengo dentro, è solo letteratura, il nocciolo più nascosto nella polpa della mia carne. Noi dobbiamo stare nel flusso. Non è che si possa parlare con tutti dei segreti della povertà e della miseria. Ci sono cose che bisogna tacere. Per esempio la bellezza di Sassi di Matera, il fatto che il massimo del suo splendore è figlio dell’estrema miseria. Questo è un segreto che non puoi spiegare a tutti, perché la marea umana in movimento si accontenta di cose più semplici. E c’è anche una verità, in questo rifiutare la verità, l’aspra verità del dolore.     

La forza evocativa del passato di Matera è più marcata proprio perchè il suo passato è completamente e definitivamente superato? Cosa possiamo augurarci per il futuro di Matera?

Matera è tutta nel futuro, il passato non c’è più se non come simulacro, come calco. Matera è una menzogna. Tutto si sovrappone, non tutti gli strati sono evidenti, tante cose si perdono. Ma cose nuove arrivano. Ogni cosa poi conoscerà l’umiliazione di farsi leggenda, tradizione, memoria. Ma anche questo segreto bisogna tacere, pure perché il mondo sta facendo una grande battaglia per rimuovere il dolore. Il grande sogno dell’umanità è non vedere e sentire mai più il dolore. Per questo motivo la vera filosofia del mondo moderno è il turismo. Solo vivere come turisti lenisce il dolore dell’aspra verità»  

La bellezza delle immagini che raccontano i paesaggi, la città di Matera ed in particolare la Cripta del peccato originale è veramente impressionante. Che importanza ha avuto la ricerca visiva e iconografica nel film?

«Questo lo devo tutto a Simone Aleandri, giovane maestro del documentario. L’ho fatto penare. L’ho costretto a corteggiarmi come una fidanzata isterica. Non volevo fare questo lavoro, eppure ce l’avevo dentro come un vulcano carico. Mi sottraevo, lo aggredivo, gli gridavo in faccia la mia aporia. Ma lui ha saputo prendermi e domarmi. E’ un faber paziente, curioso, generoso. Alla cripta comunque ho provato una sensazione bellissima: la sensazione che tutto muore ma anche che tutto vince sulla morte. Ogni cosa che c’è è anche una vittoria sulla morte».

Quale percorso ti auguri possa avere la vita del documentario? Qual è il messaggio che vorresti arrivasse al pubblico?

«Intanto sono contento che a novembre andrà in 300 sale cinematografiche italiane. Per il resto, spero che abbia una sua vita dignitosa».

C’è un modello-Matera che può essere esportato in altri luoghi della Basilicata e del Mezzogiorno d’Italia? Cosa pensi quando vedi comitive numerose di turisti provenienti da tutti i paesi del mondo aggirarsi tra i Sassi? Intravedi in questo fenomeno una possibilità di riscatto per il Sud? 

«E’ ovvio che in Occidente si vivrà sempre di meno, e cose come l’identità, l’esperienza e la realtà saranno sempre più fievoli e distanti. Ci inventeremo storie mai vissute, e le racconteremo per un mondo smarrito che cerca di dimenticare il dolore facendosi intrattenere dalla nostalgia dell’odore perduto dei corpi. Il turismo sarà la nostra anestesia, renderemo sacra ogni impronta del passato, quando si viveva fino in fondo una sola cosa, senza illudersi di poter essere tante cose, cittadini del mondo, turisti de-responsabilizzati del flusso moderno. Il turismo è sottrazione di realtà, è rinuncia alla storia. Tutto l’Occidente è dentro questa paura e dentro questa raffinatezza estrema. Noi saremo il luogo dove si vivrà bene, perché la vita è breve e il tempo corre. Non avremo nemmeno più il coraggio di nominarlo, il dolore».

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