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LUIGI e Lucia sono i genitori di Francesco, un ragazzo autistico. Seguono loro figlio da quando è venuto al mondo e sperano, per quanto possibile, di riuscire ad abbattere il muro di silenzio che c’è attorno a lui. Per farlo, 14 anni fa, hanno immaginato e fortemente voluto un’associazione all’interno della quale il disagio di chi non ha voce, potesse trovare modo di essere espresso. I loro nomi sono frutto di fantasia nel rispetto della privacy e della delicatezza di una storia che è cominciata tempo fa. Da un anno Luigi e Lucia devono combattere con la solitudine. Non quella provocata dalla malattia del figlio ma quella imposta a chi decide di parlare, di difendere i diritti di un soggetto debole. Nel febbraio di un anno fa il loro figlio fu percosso da un assistente del centro diurno comunale gestito in affidamento dalla cooperativa sociale “I ragazzi della Dumbo”.

Da quel giorno le difficoltà sono aumentate e il ragazzo è diventato sempre più violento, soprattutto nei confronti delle figure maschili. Il 10 febbraio prossimo, davanti al Giudice di Pace, Luigi e Lucia dovranno ripercorrere quella giornata, quella vicenda drammatica e cominciare il percorso che li condurrà al rispetto della legge e della giustizia. Avevano chiesto, accanto a loro, il sostegno dell’associazione Dumbo Onlus, proponendo che si costituisse parte civile nel procedimento, ma la risposta è stato un rifiuto “all’unanimità”. La stessa richiesta è stata fatta all’amministrazione comunale. La decisione negativa assunta dal direttivo dell’associazione Dumbo Onlus (anche se loro se avevano chiesto che l’atto venisse assunto dall’assemblea dei soci, ndr) e comunicata con una lettera imbucata a mano al loro indirizzo e con un testo senza data e con firma fotocopiata.

Oggi si chiedono cosa ne è di tutta quella strada percorsa negli anni con i genitori degli altri ragazzi seguiti dal centro diurno, perché attorno alla loro vicenda è calato un silenzio così pesante. «I disabili non devono essere defraudati dei diritti civili ma considerati portatori di diritti pari a quelli di cui godono tutti i cittadini». Il loro sfogo sta tutto in queste parole, contenute nell’articolo 4 dello statuto dell’Associazione Dumbo Onlus, Per raccontare la loro vicenda hanno deciso di rivolgersi al Quotidiano e ripercorrere quel periodo ricordando che, subito dopo l’accaduto: « La famiglia ha sporto denuncia alle autorità competenti e all’Amministrazione comunale, titolare del progetto ed ha chiesto per iscritto con lettera raccomandata al Presidente dell’associazione Dumbo (che è anche presidente della cooperativa, ndr.), che venisse convocata l’assemblea dei soci, al fine di prendere drastiche decisioni nei confronti di colui che aveva commesso il fatto e posizione ufficiale ed unanime di condanna dell’accaduto, nel pieno rispetto delle finalità dello statuto».

Il disagio della famiglia è ormai palpabile e la difficoltà nella quale vive da un anno si comprende anche dalla necessità di mantenere l’anonimato e di garantire al ragazzo la serenità pur messa in discussione dai fatti che lo hanno coinvolto. La responsabilità della gestione di un figlio disabile rappresenta un conto quotidiano con il quale confrontarsi e che, proprio grazie all’attività delle associazioni, consente di solito di sentirsi meno soli. «Crediamo profondamente nello spirito della cooperazione – spiegano – e per questo siamo iscritti e fondatori dell’associazione Dumbo Onlus sin dal 1997. L’atteggiamento dell’associazione dal febbraio scorso ad oggi è per noi e per nostro figlio una grave offesa perché non tutela i suoi e i nostri diritti. Potete capire l’amarezza, la delusione, lo sconforto in cui siamo piombati non sentendoci tutelati neanche dalla stessa associazione nella quale credevamo. Ci chiediamo a questo punto – proseguono – a cosa servono le associazioni, e soprattutto nel nostro caso, un’associazione di famiglie con disabilità che vivono quotidianamente gli stessi gravi problemi gestionali e che meglio di altri dovrebbero condividere e difendere con tutte le loro forze quelli i diritti e la dignità delle persone care che accudiscono. Da quale parte stanno?

Ancora oggi – prosegue Lucia – mi chiedo quante altre volte mio figlio è stato oggetto di episodi come quello del febbraio scorso, senza che io abbia mai saputo nulla? Come ci si può accanire contro una persona che non può reagire, che non può parlare? E’ inconcepibile per questo – proseguono i due genitori – non schierarsi a difesa della dignità e dei diritti dei propri cari. Per questo ci rivolgiamo alle persone che lottano veramente per l’affermazione di principi e dei valori fondamentali a difesa e tutela dei disabili e delle loro famiglie affinché ci supportino per il raggiungimento di questo obiettivo e contestualmente chiediamo al Csv di Basilicata di prendere anch’essa posizione a riguardo». Il vero paradosso starebbe nelle ultime righe della lettera. Addolorati e provati dalla vicenda, Luigi e Lucia spiegano: «L’associazione non si costituisce parte civile nel processo intentato dalla famiglia ma ha nella sua sede, tutti i giorni, la persona rinviata a giudizio senza che nessuno dei soci abbia mai sollevato tale incongruenza».

Antonella Ciervo

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