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POTENZA – Sulla carta Chen Jianren avrebbe fatto per anni da badante a un anziano signore di Melfi ormai non più autosufficiente. Ma i carabinieri del nucleo operativo hanno mangiato la foglia, la vicenda è finita negli uffici della procura di Potenza e di Chen, all’improvviso, si sono perse le tracce.

Ha tutta l’aria di un raggiro quello scoperto dai funzionari dello sportello unico per l’immigrazione che a maggio hanno respinto l’istanza di emersione dal lavoro irregolare presentata da Giuseppe Savino, l’anziano signore di cui sopra.

Stando a quanto ricostruito dai giudici del Tar Basilicata, che mercoledì hanno rigettato il ricorso dell’avvocato del signor Jianren, Ameriga Petrucci, a novembre del 2012 si erano presentati in due negli uffici della Prefettura di Potenza: lo stesso Jianren ed Eva Di Francesco, moglie di Savino con una delega del marito «impossibilitato a firmare». Ai funzionari incaricati del disbrigo di pratiche di quel tipo avevano dichiarato di convivere sotto lo stesso tetto assieme a due dei figli della coppia.

Eppure l’assenza dell’uomo aveva fatto scattare i controlli delegati ai militari dell’Arma di Melfi che una volta arrivati all’indirizzo di residenza dei coniugi si sono accorti dell’assenza del badante. Anche la signora Di Francesco avrebbe ammesso fuori dai denti che «alle loro dipendenze non avevano mai avuto alcun badante di nazionalità cinese». Di più: «non vi era alcun badante cinese» dato a occuparsi del padre sarebbero stati «il figlio Mauro Savino e la sua convivente Ion Laura Manuela». Così il verbale dei carabinieri che riferiscono quanto affermato dalla donna.

Il risultato è che a febbraio dell’anno scorso l’avvocato di Savino, che è sempre Ameriga Petrucci, avrebbe chiesto notizie della pratica in Prefettura smentendo l’affermazione attribuita alla signora. Al che i militari hanno ricevuto un’ulteriore delega d’indagine da parte dell’ufficio raccogliendo una dichiarazione del figlio dei due coniugi, Mauro Savino, per cui Chen «non aveva mai prestato attività lavorativa alle dipendenze del padre».

A questo punto sarebbe stata inviata anche una segnalazione formale in Procura. Di fatto a giugno  l’istanza di accesso dell’avvocato Petrucci a nome di Savino sarebbe stata respinta  «in quanto della questione era stata interessata la Procura della Repubblica di Potenza». E due settimane dopo lo stesso avvocato avrebbe chiesto di conoscere l’esito dei procedimento ma «in nome e per conto» del signor Chen Jianren.

Di fronte ai giudici del Tar la Prefettura si è dovuta difendere anche per le notifiche mancate al presunto badante spiegando che anche gli accertamenti dei carabinieri «sia presso l’anagrafe comunale, sia presso la piccola comunità di cinesi presenti sul territorio» non avevano dato i frutti sperati e «il ricorrente risultava irreperibile». Sparito.

In conclusione, per i magistrati, l’amministrazione resistente non poteva fare altro che respingere l’istanza presentata dal signor Savino visto che dalle dichiarazioni della moglie e del figlio «emerge chiaramente la circostanza che il ricorrente non aveva lavorato» alle sue dipendenze. Quanto alle mancate notifiche il Tar aggiunge che «il procedimento in questione era stato attivato dal signor Giuseppe Savino e perciò soltanto a costui doveva essere comunicato il preavviso di rigetto». Mentre «il diverso procedimento, relativo al permesso di soggiorno» del signor Jianren «non è mai iniziato». Motivo per cui non c’era nessun obbligo di comunicazione nei suoi confronti.

Resterebbe soltanto da capire chi ha mentito in tutta questa storia, irreperibile o meno. Ma più che ai giudici del Tar spetterà forse ai colleghi del Tribunale provare a fare chiarezza anche su questo aspetto.  

l.amato@luedi.it

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