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CIÒ che non ti uccide ti fortifica. Chi non ha mai sentito questa massima, di fronte a vicissitudini, malattie, lutti? Alle difficoltà, gli individui e le comunità reagiscono in maniera molto diversa. Alcuni accettano la sfida del cambiamento, altri la rifuggono. Quelli che l’accettano sanno trasformare la disperazione in energia creativa: si pensi a Stephen Hawking, il celebre fisico, che a dispetto di una gravissima malattia ha raggiunto traguardi scientifici straordinari (ma tantissimi altri esempi potrebbero soccorrerci). Quelli, invece, che la rifiutano spesso vanno avanti nella loro quieta disperazione, in una normale infelicità, per finire in una cupa rassegnazione.

Ma cosa c’è all’origine di questa differente condotta? E, in particolare, cosa rende gli uomini capaci di risollevarsi dopo essere caduti, di fronteggiare difficoltà ed eventi negativi, di prevalere nelle sfide della vita? Di certo, la personalità. Come pure la fiducia in se stessi, la motivazione, la capacità di costruire relazioni e tollerare le frustrazioni. Doti innate? Non proprio. La resilienza (la chiamano così gli psicologi che hanno preso in prestito il termine dalla fisica dei materiali) non è solo la capacità di resistere alle avversità, ma un mix di coraggio e speranza, di motivazione e determinazione. Direi di più: è la capacità di cambiare prima che il cambiamento diventi un’urgenza drammatica. In qualche modo, giocando d’anticipo, reinventandosi. Non è detto che i traumi debbano portare inevitabilmente alla rovina. In ogni momento, fattori reattivi forti possono farci ritrovare l’equilibrio perduto. Il nostro cervello si adatta plasticamente alle nuove sfide. Ecco perché, fin dalla più tenera età, bisogna insegnare ai bambini ad accettarle, non ad evitarle; a ritagliare spazi per l’immaginazione; a non essere conformisti; a dare basi solide alla loro autostima; a promuovere in loro curiosità, giudizio autonomo, fiducia. A loro volta, gli adulti hanno bisogno di relazioni che sappiano contenerne le angosce, alleviarne le sofferenze. Tutti sappiamo come alcune amicizie hanno addirittura valenza terapeutica. E non è raro che persone cresciute in famiglie disgregate o in situazioni di degrado intraprendano percorsi virtuosi, dopo aver emulato esempi positivi (di cui il nostro tempo è particolarmente avaro). In un tempo sbandato come il nostro, in cui le antiche certezze sono andate in frantumi, molto di ciò che credevamo dipendere dalla società è ritornato nelle nostre mani. Le domande che oggi abbiamo di fronte sono tante. Due, però, antiche come il mondo, ci assillano con tutta la loro forza. Dove siamo disposti ad arrivare? Cosa saremmo in grado di fare se non avessimo paura? È intorno a questi interrogativi che ruota il destino degli uomini singoli e delle comunità.

 

 

 

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