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KATIA ha 33 anni. E’ affetta da ritardo mentale e epilettica e quando comincia a urlare anche sua madre non sa come fare. Lo spiega bene suo padre, Tommaso Giusto 61 anni che racconta le difficoltà di una famiglia che vive con un portatore di handicap grave e per la quale la chiusura per un mese del centro che se ne occupa, diventa una ulteriore tragedia da sopportare.
Per tutto il mese di agosto al centro Rocco Mazzarone, i ragazzi non possono svolgere le attività che eseguono nel resto dell’anno. Le somme stanziate per la cooperativa “Meravigliosamente” non sono sufficienti a coprire gli stipendi del personale per 12 mesi.
E così Katia, che frequenta il centro da nove anni. ndr.) è costretta a stare a casa, stretta nelle quattro mura, con la voglia di tornare in quel luogo in cui invece può muoversi e fare tante cose. Quello di Katia è lo strazio che sono costrette a sopportare le famiglie nelle quali vive un handicappato e in cui il fattore economico diventa elemento distintivo e decisivo.
Tommaso Giusto, padre incapace di arrendersi, dipendente delle Poste per 38 anni e oggi esodato, rimasto senza pensione per colpa «Di quella..non so come definirla…la Fornero», ha scelto in questi giorni il Comune di Matera per la sua protesta silenziosa insieme alla sua Katia.
Non chiede nulla perchè: «Dovrei ascoltare altre promesse inutili e non ne ho voglia». Resta lì, però, in attesa che l’attenzione mediatica sollevata da una nota del consigliere di Forza Italia Adriano Pedicini, faccia muovere più velocemente qualche documento sulle scrivanie e nelle stanze giuste.
Qualche dipendente gli chiede la ragione della sua presenza, lui la spiega e tutto finisce lì.
Mancherebbero circa 16 mila euro per garantire l’attività per un mese al centro Mazzarone, ma non ci sono. «Noi non andiamo in ferie, non dobbiamo uscire a mangiare un gelato o una pizza. Possiamo restare qui, finchè la situazione non cambierà – aggiunge Tommaso che sottolinea che a qualche famiglia è stato proposto di pagare somme comprese fra i 300 e 400 euro (380 euro con il trasporto o 330 euro senza, per quattro ore il lunedì e il venerdì, ndr.) per poter frequentare il centro, autofinanziando l’attività. La sua famiglia non può permettersi nemmeno questo e così il Comune è diventato una “seconda casa” (su questo argomento risponde nell’articolo in pagina il presidente de “La città essenziale”, Pino Bruno, ndr.) in attesa che spunti la soluzione tanto attesa dopo anni in cui i volontari si fermano per qualche giorno durante le vacanze scolastiche e per un mese intero in agosto.
«Il centro Mazzarone è aperto per 10 mesi mentre il canile municipale per tutto l’anno. E’ questo che mi fa perdere la pazienza, non è giusto. In questo periodo Katia è ostaggio della famiglia e viceversa; in una città come Matera tutto questo non dovrebbe esistere. Un centro per il disagio grave non può essere chiuso per tutto questo tempo. Il contratto che fu stipulato con la ccoperativa prevede che il centro debba rimanere prevalentemente per 10 mesi, ma i gestori in maniera tassativa applicano la chiusura. In questa vicenda – spiega comunque Tommaso Giusto – sono vittime anche i dipendenti che sono soggetti ad assunzioni che a un certo punto vengono interrotte».
La chiusura anche se temporanea incide negativamente sull’equilibrio dei ragazzi (circa 20) che al ritorno dopo la pausa si trovano in una situazione difficile, costretti a recuperare il tempo perduto in una situazione già difficile in partenza. «Katia avrà problemi ad integrarsi di nuovo – spiega ancora Giusto – L’altro problema è legato agli orari che si riducono anche a causa dei trasporti. I ragazzi dovrebbero entrare alle 9,30 ma dal momento che c’è un solo furgone a disposizione, a volte vengono a prendere mia figlia dopo le 10, alle 15,30 termina l’attività. Trovo assurdo che una ragazza nelle sue condizioni debba rimanere seduta sulla poltrona in attesa del mezzo che viene a prenderla. Ho parlato di questo problema con Pino Bruno, presidente di Città essenziale, ma mi ha detto che mancano i fondi. I problemi per noi sono davvero tanti e non possiamo che attenderci aiuti dalle istituzioni, invece siamo abbandonati a noi stessi. Quando sento parlare di genitori che fanno gesti disperati, penso che ci sia ancora tanto su cui bisogna riflettere. Mia figlia non è nata così, è stata la medicina a ridurla così e oggi noi non ce la facciamo più. Non abbiamo più nulla da perdere, la vita ci ha messo già a dura prova.
Il giorno dell’inaugurazione – ricorda Tommaso Giusto – questo centro avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della città. Invece io sto passando le mie “vacanze” al Comune».

 

 

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