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LOCRI (RC) – Per contrastare la ‘ndrangheta, la Chiesa «sa ciò che deve fare». L’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini, in attesa di insediarsi lunedì prossimo a Reggio Calabria, si commiata dalla diocesi di Locri-Gerace con un messaggio ai fedeli che non risparmia pungolature a chi contesta l’atteggiamento ecclesiastico nei luoghi ad alta densità mafiosa: «Prima si diceva, la ‘ndrangheta fioriva perchè la Chiesa taceva; adesso che parla, la ‘ndrangheta cresce perchè la Chiesa è facile al perdono», scrive il presule, finito al centro di una polemica dopo aver aperto un anno fa, dal santuario di Polsi, all’accoglienza dei mafiosi che fossero pronti a convertirsi (LEGGI L’ARTICOLO).

Morosini raccomanda ora ai cattolici della Locride: «Non lasciamoci ammaliare dalle false sirene dell’antimafia di professione, alla quale importa la lotta, felici di lottare; a noi importa la salvezza della persona, perchè Gesù ama il peccatore e vuole che si converta e viva. Scrivano quel che vogliono, esprimano pure i loro giudizi velenosi e critici: noi restiamo forti dalla parte di Cristo, purchè naturalmente da quella parte ci stiamo veramente». Il vescovo che arriva dall’Ordine dei frati minimi di san Francesco di Paola afferma di aver ispirato la sua attività episcopale a un’espressione paolina: «Mi ha amato, dice Paolo di Gesù. E’ con questo sentimento di Gesù – ha scritto Morosini – che in questi anni ho cercato di guidare la nostra Chiesa diocesana nell’affrontare la piaga dolorosa della ‘ndrangheta. La Chiesa non può inchinarsi sul male che con il cuore amorevole di Gesù, che ha proclamato con forza e rigore l’urgenza della conversione, ma che poi ha allargato il cuore al perdono e alla misericordia. Anche per questo siamo stati attaccati, giudicati male, condannati, messi qualche volta alla gogna mediatica».

L’indice è puntato anche contro quelli che Morosini definisce «esperti pastoralisti, si fa per dire, del mondo laico che pretendono salire sulle cattedre di teologia e dire se dobbiamo dare i sacramenti o rifiutarli, se dobbiamo etichettare come mafiosi e chi». «Sono sirene che non ci ammaliano», afferma l’arcivescovo, che poi esorta:. «Camminiamo diritti sulla strada intrapresa della formazione delle coscienze e sulla denuncia, ed avremo assolto al nostro compito. Un impegnonon lasciamo cadere: quello di stimolare i responsabili della cosa pubblica a non portare avanti nella Locride solo una politica anti, cioè repressiva, ma pro, cioè di promozione del territorio. In questi cinque anni sono intervenuto più volte in tal senso, ma non vedo ancora cambiamenti rilevabili».

Ai fedeli di Locri e Gerace il presule scrive parole di rimpianto per l’opera che definisce ancora incompiuta: «La sede di Reggio non era nei miei pensieri, nei miei desideri, nelle mie aspettative o nelle mie speranze. Egoisticamente cominciavo a pensare a qualche frutto, desiderato non tanto per gratificazione personale, ma come spinta a percorrere altra strada e andare avanti sicuro e pieno di entusiasmo. Così non è stato». Da lunedì, per lui, si apriranno le porte dell’episcopio di Reggio Calabria.

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