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E’ morto ieri, all’età di ottantacinque anni, l’ex camionista in pensione Antonio Tedesco, originario di Rotonda, ma da molti anni residente a Viggianello, sul Pollino. Tedesco salì agli onori della cronaca nazionale la notte del 17 dicembre del 1973, poiché fu il primo a vedere sull’autostrada – nell’area di servizio di Galdo, a Lauria sud – e a soccorrere l’appena rilasciato Paul Getty, il ricco rampollo americano rapito il 10 luglio dello stesso anno dalla ‘ndrangheta. Dopo averlo fatto salire sul proprio camion, Tedesco lo accompagnò nella caserma di Lagonegro. Nelle ore successive rilasciò interviste a giornali e televisioni di mezzo mondo, trovandosi inaspettatamente al centro della scena mediatica. Lo scrittore Andrea Di Consoli, originario di Rotonda anch’egli come Tedesco, ha ricostruito per “il Quotidiano della Basilicata” una delle pagine più oscure della storia criminale meridionale degli anni ’70

 

E’ LA NOTTE del 17 dicembre del 1973. Fa freddo, c’è la neve, mancano pochi giorni per natale. Tre giorni prima, a Wimbledon, la nazionale di calcio vince contro l’Inghilterra grazie a un gol di Fabio Capello. In Israele, invece, è finita da poche settimane la guerra del Kippur. 

Siamo sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza dell’area di servizio di Lauria Nord, denominata “Galdo”, al confine tra Calabria e Basilicata. Un ragazzo cammina trafelato sull’autostrada, e si dirige a passi veloci verso l’Autogrill dove, una volta arrivato, chiede un passaggio a un camionista, il cui nome è Antonio Tedesco, al quale chiede di accompagnarlo il prima possibile dai Carabinieri, perché il suo nome è Paul, Paul Getty.
Antonio Tedesco non conosce quel nome, ma da come glielo dice, e dalla brutta fasciatura che ha alla testa, capisce che quel ragazzo taciturno è in difficoltà, e perciò lo accompagna a notte fonda presso la caserma di Lagonegro. Antonio Tedesco scende dal camion e bussa ai Carabinieri, e comunica loro di aver dato un passaggio a un americano, a un certo Paul Getty. Ma, a sentire quel nome, Tedesco nota che intorno a lui si crea un isterico allarme, e in un battibaleno il ragazzo viene scortato all’interno della caserma, mentre a lui iniziano a fare mille domande circostanziate sul come e sul perché di quel “passaggio” notturno (presso l’ospedale di Lagonegro, che nel frattempo si andava riempiendo di cronisti, a Paul Getty vengono praticate, prima di essere scortato per Roma, le prime cure mediche).
Facciamo adesso un passo indietro di cinque mesi. Siamo a Roma, è il mese di luglio. Il giovane Paul Getty, nato a Minneapolis nel 1956, è un diciassettenne dal cognome illustre, perché suo nonno, Jean Paul Getty, è il fondatore e il proprietario della “Getty Oil”, una delle principali compagnie petrolifere a livello mondiale. A Roma Paul Getty (battezzato dall’illustre dinastia come Paul Getty III) vive con la madre, Gail Harris, che ha una boutique in piazza di Spagna. E’ un ragazzo ribelle e viziato, un perdigiorno che imita la moda “capellona” degli hippie. Vive ai Parioli, frequenta le discoteche alla moda e vende, a piazza Navona, oggetti artistici che lui stesso crea. A scuola, invece, dà solo problemi, tanto che viene finanche espulso dalla “St Georgés British International School”.
Il 10 luglio del 1973, all’improvviso, Paul Getty scompare nel nulla. Dopo qualche giorno (esattamente il 16 luglio, data della prima comunicazione dei rapitori) si capisce senza ombra di dubbio che il giovane rampollo è stato sequestrato a scopi estorsivi.
A decidere il sequestro di Paul Getty sono tre famiglie della ‘ndrangheta calabrese, i Piromalli, i Nirta e i Mammoliti, i quali comunicano a Gail Harris, telefonicamente, di essere disposti a restituirle il figlio dopo il pagamento di un riscatto di diciassette milioni di dollari. La donna indice una conferenza stampa nella sua abitazione ai Parioli e dichiara di essere disposta a pagare il riscatto, e gira di conseguenza la richiesta al ricchissimo suocero Jean Paul Getty, sortendo come risposta, però, un clamoroso diniego. L’argomentazione del ricco petroliere americano è la seguente: “Ho quattordici nipoti, e se accettassi di pagare per ogni nipote sequestrato una simile cifra, nel giro di pochi mesi il mio patrimonio sarebbe del tutto prosciugato”. E’ un colpo di scena incredibile, che nessuno si aspettava e che, soprattutto, non si aspettava la ‘ndrangheta, che incomincia a perdere la pazienza, tanto che l’undici novembre,a quasi quattro mesi dal sequestro, e dopo troppi silenzi da parte della famiglia Getty, alla redazione del “Messaggero” arriva un plico all’interno del quale ci sono un orecchio mozzato di Paul Getty e una ciocca di capelli. Insieme all’orecchio, c’è anche una lettera indirizzata al direttore del giornale, Alessandro Perrone, nella quale i sequestratori avvertono che quello è solo l’inizio, e che se la famiglia non dovesse pagare il riscatto, il giovane Paul Getty verrà restituito lentamente, ma a pezzettini. Quando il vecchio Jean Paul Getty viene a sapere della mutilazione, ha un momento di sbandamento, e subito acconsente al pagamento del riscatto, ma a una condizione inderogabile: che il nipote, una volta ritornato in libertà, avrebbe restituito al nonno l’intera somma, aggravata da un interesse di prestito del quattro percento. La somma definitiva con cui ci si accorda per il riscatto è di un miliardo e settecento milioni di lire – una cifra, per l’epoca, spropositata, che viene consegnata su indicazioni precise proprio nelle vicinanze di Lauria, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Facciamo un passo in avanti di otto anni. Siamo nel 1981, e Paul Getty, venticinquenne, sta vivendo un secondo momento drammatico, forse ancor più crudele del sequestro del ’73. Un’overdose di eroina, infatti, gli ha causato un ictus e, a causa di quest’ictus, Getty diventa cieco, muto e paralizzato, ed è costretto a vivere su una sedia a rotelle. Subito dopo il sequestro il giovane Paul – traumatizzato dalla prigionia – è diventato un tossicodipendente ma, soprattutto, è entrato definitivamente in rotta di collisione con il ricco nonno, che aveva stabilito, fra i tanti rigidi precetti della sua dinastia, che nessun erede potesse sposarsi prima del compimento dei venticinque anni di età. Precetto totalmente disatteso da Paul Getty che, dopo appena un anno dal sequestro, decide di sposare la bella modella tedesca Gisela Zacher, dalla quale avrà anche un figlio, Balthazar Getty, che attualmente bazzica con alterna fortuna gli ambienti cinematografici di Hollywood. Paul Getty, purtroppo, è morto il sei febbraio scorso, all’età di cinquantaquattro anni, dopo aver trascorso trent’anni della sua infelice e tragica vita su una squallida sedia a rotelle.
Il rapimento di Paul Getty è stato il primo sequestro eclatante della ‘ndrangheta, che pure ne aveva già realizzati in precedenza ma che, da quel momento in poi, ne effettuerà a centinaia, trasformando un’intera montagna – l’Aspromonte – in un inaccessibile e presidiato carcere a cielo aperto. Con i soldi del sequestro Getty fu costruito, tra le altre cose, un intero quartiere di villette a schiera a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, denominato da tutti, macabramente, “Paul Getty”. Ma il riscatto non venne mai ritrovato, e mai nessuno è riuscito a stabilire come sia stato effettivamente speso o investito.
Per quanto riguarda il processo, invece – che si è svolto per competenza territoriale a Lagonegro, in Basilicata – si arrivò alla prima sentenza, nel 1976, con l’assoluzione per insufficienza di prove nei confronti dei boss Girolamo Piromalli e Saverio Mammoliti, e una condanna per Antonio Mancuso (proprietario dell’auto che trasportò il riscatto) e Giuseppe La Manna, un guardiano nella cui abitazione furono ritrovate alcune banconote del riscatto.
Ma fu, purtroppo, un processo fallimentare, e i veri mandanti ed esecutori del rapimento rimasero impuniti.

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