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CATANZARO – Nelle carte di tutte le operazioni messe a segno dalla Dda di Catanzaro contro i “gaglianesi”, era individuato come il nuovo reggente della cosca. Ma l’unica condanna riportata in primo grado per associazione a delinquere non aveva ancora superato lo scoglio della Corte d’appello. Né lo farà mai. Perché Anselmo Di Bona, alias “cavallo pazzo”, ieri mattina, a 62 anni, dopo una lunga malattia, è deceduto in una corsia dell’ospedale “Pugliese” di Catanzaro. 

Per un beffardo e crudele destino, a sole 24 ore dall’omicidio del boss dei rom “Toro seduto” (LEGGI). Due destini che si incrociano nella morte, così come era avvenuto nella vita. Due presunti capi della criminalità organizzata catanzarese, i cui nomi si sono inseguiti per anni nelle carte messe insieme dai magistrati che, di volta in volta, hanno diretto i blitz contro  i clan di ‘ndrangheta operante nel capoluogo. 

Clan non autonomi, ma sempre affiliati alla cosca degli Arena di Isola Capo Rizzuto, dai quali storicamente ricevevano le direttive su come e dove operare, con una divisione netta del territorio e delle attività illecite da portare avanti per rimpinguare le casse. Ruoli che, tuttavia, negli ultimi tempi si erano confusi sempre di più, con uno spariglia mento delle carte mal digerito da chi, probabilmente, ha voluto rimettere ordine con un segnale forte, fortissimo, come il rumore dei colpi mortali sparati giovedì mattina all’Aranceto. Anselmo Di Bona, invece, se n’è andato da solo. 

Ha lasciato una casella scoperta in un mosaico criminale in evoluzione. La cosca dei “gaglianesi”, d’altra parte, è stata sgominata da tempo, con il suo storico boss al carcere a vita e i picciotti allo sbaraglio. Ma adesso la confusione è destinata ad aumentare. E questo gli inquirenti lo sanno bene. La priorità, infatti, adesso, è quella di evitare nuovo spargimento di sangue.

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