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A Rizziconi, nella piana di Gioia Tauro, comune ad altissima densità mafiosa e attualmente commissariato, gli azzurri si alleneranno su un campo di calcio confiscato alle cosche e finalmente, grazie all’opera dell’associazione Libera di don Ciotti, consegnato ai ragazzi.
«Sarà una cosa simbolica, certo – ha dichiarato Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, membro della Direzione distrettuale antimafia e in prima fila nella lotta alla ‘ndrangheta – ma sapeste che valore possono avere quaggiù certi segnali».
«Il calcio – spiega ancora il magistrato – è un grande veicolo contro le mafie, come pure la musica: insegnare ai ragazzi a suonare uno strumento è educativo. Stessa cosa per il pallone: dovere imparare a tirare in porta, a fare gol o a difendere li impegna e li allontana dalla prospettiva di diventare garzoni di ‘ndrangheta. I bambini di oggi sono spugne, sono migliori rispetto a 15 anni fa, ma il problema è che nessuno intercetta il loro bisogno di modelli positivi. E nel calcio per fortuna ce ne sono molti».
La domanda però è quella legata al “post Nazionale” ovvero al momento in cui l’emozione finirà: «Intanto tre ore sono meglio di niente – dichiara Gratteri – e comunque rimane il ricordo: che aiuta a credere di potercela fare».
Probabilmente il magistrato non sarà presente: «Vorrei, ma non posso dire niente sui miei spostamenti». Su una cosa però ha certezze: «In giro sarà pieno di ‘ndranghetisti, a loro come a tutti al Sud, il pallone piace. E poi lo utilizzano a scopo di ostentazione, di visibilità. La mafia fa schifo, è il titolo scelto dai ragazzi al mio ultimo libro, ed esiste dove c’è denaro e potere. I soldi li fa con traffico di cocaina, estorsione, usura ed appalti. Ma quando serve la visibilità e il consenso li trova attraverso lo sport e la religione. Gli ‘ndranghetisti si fanno avanti per ristrutturare chiese, per gestire le processioni: uguale per il calcio, un capocosca o un suo uomo è sempre presidente della squadra. A vedere la partita va la gente che conta, il farsi vedere nella stessa tribuna della classe dirigente è per loro positivo. I capicosche sono gli artefici dei successi, investono soldi per comprare giocatori. Poi arriviamo alle iperboli, uno dei Pesce giocava nel Cittanova, era il capitano: e chi gliela contendeva la fascia? Altra storia è quella dei minuti di silenzio: per la morte del boss Cordì a Locri; e poi quello a San Luca per la morte di Gambazza, uno dei Pelle. Comunque, gestire squadre è un lusso, le mafie possono farsi avanti perchè hanno liquidità. Si presentano come modelli vincenti».
Gratteri è un uomo a cui il pallon piace molto ma purtroppo non può andare allo stadio e ha dimenticato l’ultima volta che ha giocato: «Da ragazzo ero un centrocampista di fatica». Ora invece in un certo senso è un regista: «E’ vero, coordino anche 20-30 inchieste. Da oltre 20 anni vivo in cattività, sempre scortato. E il mio rapporto con lo sport è atipico: mi ‘alleno’ zappando l’orto la domenica». «Una volta ero juventino – ha detto – il mio idolo era Anastasi, quanti sogni mi ha regalato. Ora non tifo più, i calciatori cambiano squadra addirittura a metà campionato: a me invece piacciono le bandiere».
Gratteri infine chiede ai campioni un favore: «Il mio auspicio è che i bambini rimangano folgorati per la Nazionale a Rizziconi, che i bimbi trovino lo scatto d’orgoglio per innamorarsi di esempi puliti e vincenti. Gattuso, Buffon e gli altri nazionali possono salvarli. Gattuso ha grande seguito, è un modello positivo: partito dal basso in Calabria, con grinta e determinazione è risultato un modello positivo. E poi è molto vicino ai giovani non solo nel firmare gli autografi, ma proprio in maniera concreta. Per gli adulti invece non c’è speranza: mi interessa poco, ormai le scelte di campo sono state fatte, chi è onesto è onesto, chi no giocherà sempre per la squadra del Male».

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