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LA Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha confermato oggi dieci condanne emesse in primo grado a carico di presunti affiliati ai clan di ‘ndrangheta del Crotonese coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Ghibli”. Si tratta, in particolare, di dieci delle quindici persone che hanno scelto il giudizio abbreviato: tra loro anche Giuseppe Arena, 48 anni, considerato il reggente della cosca omonima, sopravvissuto all’attentato col bazooka che nel 2004 ha ucciso il boss Carmine Arena.

LE PERSONE CONDANNATE – Per lui una condanna a 10 anni. Le altre persone coinvolte nella sentenza sono: Pasquale Arena (6 anni in primo grado); Paolo Lentini (10 anni); Nicola Lentini (6 anni); Francesco Gentile (10 anni); Tommaso Gentile (6 anni); Maurizio Greco (6 anni); Giuseppe Lequoque (6 anni); Antonio Morelli (6 anni); Luigi Morelli (6 anni). Nel processo hanno preso parte anche diversi enti pubblici, costituiti parte civile, cui il giudice dell’udienza preliminare che celebrò gli abbreviati aveva già riconosciuto i risarcimenti: 250.000 euro alla Regione Calabria, 200.000 euro alla Provincia di Crotone; 150.000 euro al Comune di Isola Capo Rizzuto. 

LA QUARTA SENTENZA – Il primo processo con rito abbreviato si era concluso il 30 luglio 2010, con quattro assoluzioni totali e undici condanne, che le difese hanno poi impugnato. A quelle impugnazioni seguì un primo giudizio d’appello conclusosi l’8 agosto del 2011 con sette condanne ribaltate in assoluzioni, e quattro sconti di pena per i restanti imputati. L’accusa ha presentato a quel punto ricorso in Cassazione che alla fine ha annullato la prima pronuncia d’appello, rinviando gli atti a Catanzaro per un nuovo processo di secondo grado nell’ambito del quale, oggi, i giudici (presidente Fabrizio Cosentino, a latere Gianfranco Grillone) hanno accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, confermando le condanne a carico dei dieci imputati per i quali si è svolto l’appello bis. 

L’OPERAZIONE GHIBLI – L’operazione “Ghibli” dalla quale è scaturito il procedimento, scattò la notte del 20 aprile 2009 tra la Calabria e l’Emilia Romagna per l’esecuzione di 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere e numerosi sequestri per un valore di 30 milioni di euro, al culmine dell’inchiesta diretta a ricostruire la sanguinosa guerra fra gli Arena e i Nicoscia. L’ottobre seguente l’inchiesta si concluse con un avviso di conclusione delle indagini emesso a carico di 38 persone dall’allora sostituto procuratore antimafia Sandro Dolce, che ha coordinato le investigazioni condotte dal Ros dei carabinieri. 

L’inchiesta ha consentito di contestare complessivamente l’associazione mafiosa e numerosi reati connessi – soprattutto in tema di armi, nonchè di riciclaggio e intestazione fittizia di beni -, tra i quali l’omicidio di Pasquale Nicoscia, che sarebbe stato la risposta al precedente assassinio di Carmine Arena, a seguito del quale rimase gravemente ferito anche Giuseppe Arena, nipote del primo; e il tentato omicidio di Domenico Bevilacqua, più noto come “Toro seduto” e considerato uno dei capi della criminalità zingara catanzarese, uscito illeso da un agguato che avvenne a Catanzaro Lido il 4 aprile del 2005, secondo gli investigatori come “punizione” per i tentativi di “Toro seduto” di rendersi autonomo rispetto alla cosca catanzarese, storicamente sottoposta agli “Arena”.

 

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