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LEGGO la ricca, suggestiva riflessione di Andrea Di Consoli su Matera: una immersione nella sua natura profonda, una lettura del suo  percorso metamorfico attraverso quella lunga stagione nella quale la miseria contadina si è “evoluta” in risorsa estetica, una identità (come Calvino l’ha evocata nelle sue oniriche figurazioni) sospesa oltre il tempo storico, oltre le durezze della subalternità del mondo contadino che Carlo Levi ha tradotto in una straordinaria trasfigurazione letteraria.

Con qualche riverbero in quella vincente operazione di marketing sentimentale sulla quale siamo finora vissuti di rendita.

Trovo calzanti la ricostruzione che di Consoli fa del costrutto storico e civile della città e il racconto delle metamorfosi da città del sociale a città liquida e postmoderna sul cui corpo si è esercitata la migliore cultura socio urbanistica ed è andata emergendo la dialettica fra una cultura calligrafica che ha eletto la “forma” urbana a chiave di lettura della storia di Matera e una più dura, affascinante e ideologica introspezione nella materia rovente della miseria di una comunità arretrata.

I sassi, a ragione di Consoli, sono stati il cuore di una visione anfibia di Matera, passati dal pieno sociale al “calco” di una umanità sommersa e salvata.

 Non è perciò un caso che essi abbiano rappresentato il più controverso punto di snodo tra le due culture che a Matera si sono confrontate e combattute senza trovare una sintesi sulla quale è mancata una mediazione adeguata: quella di un estetismo e di una filologia elaborati dal lutto e dal senso di colpa di una borghesia rappresa nel suo illuminismo urbano e quella di uno strutturalismo sociologico portato a prospettare provocatoriamente le soluzioni estreme.

Ricordo solo per un istante che sui sassi si giocò la disputa surreale se farne un laboratorio del restauro e del riuso (che fu la filosofia della “nostra” – anche la mia – Legge per i Sassi) ovvero un monumento muto e dolente della condizione contadina e della sua dannazione storica.

Il tema vero che tuttavia mi pare emerga dal dibattito nel quale intervengono due” grandi borghesi” iscritti nella storia e nei valori della città Buccico e De Ruggieri, sta nel comprendere cosa  Matera stia diventando oggi nella transizione dalla materia allo spirito, dal moderno e dalle sue drammatiche, interne verità al postmoderno nei suoi flussi ambigui e nella sua indefinibile cifra.

Come fare dell’identità di Matera un “valore” ancora spendibile, si chiede di Consoli.

Raffaello De Ruggieri, uno dei protagonisti di un elitismo eroico che ha ricostruito in linguaggio colto i segni primordiali e le tracce erratiche dell’incontro tra Matera e il mondo, il tempo che viviamo dovrà essere speso nel produrre ricchezza immateriale e quindi assumendo il territorio ad oggetto di un intenso lavoro di dissodamento e di promozione.

Per Nicola Buccico, esponente di quella borghesia longanesiana armata di letture storiche, di buonissima letteratura e di insospettabile ed eretica libertà intellettuale e politica, manca una vera “borghesia” urbana del nostro tempo né egli, guardandosi intorno, ravvisa omologhi e iconoclasti interlocutori capaci di sottrarlo ad una aristocratica solitudine, talvolta ispida e irridente, mai tuttavia banale.

Circola in entrambi gli interventi pur nella diversità di toni e di ascendenze, un vigilato pessimismo dell’intelligenza che si duole della povertà delle risorse civili che sono confinate dentro i circuiti ufficiali censiti dalla politica .

È chiaro che non basta il pur meritorio ed eccentrico vitalismo di Verri a contrastare o rovesciare il penoso arrancare della vita cittadina, la povertà del dibattito pubblico, la debolezza del suo ethos collettivo .

Perfino l’eco di passioni e visioni che “tornano” da ecosistemi lontani e che risuonano come un richiamo a nobiltà perdute (penso alle raffinate elegie che intorno al mito della Terra e della natura come storia e come vita va proponendo Antonio Calbi) appaiono qui da noi fuori contesto, suoni e armonie lontane.

 Sicchè tutte le ambizioni ad ascoltare le “voci di dentro” che sono una pulsione sincera quando non si trasformano in profanazione dello spirito che regge il mondo e della sua religione naturale, finiscono col divenire diversivi, un po’ falsi, un po’ retorici, di un teatro che combina commedia e dramma e che vive di recitazioni a soggetto .

Specie se rimane inevasa la domanda che di Consoli pone: come possano cultura e turismo tradursi in materia solida e definire la inedita costituzione economica e civile di una città volatile che ha sepolto tutte le culture materiali che l’hanno connotata finora, a partire da quel processo di accumulazione primitiva che è stato, con l’agricoltura, l’edilizia(e con l’urbanistica assunta a parente nobile e sofferente nel passaggio alla modernità).

Domanda cui sarebbe difficile rispondere se non rileggendo in una chiave matura e innovativa tutte le attitudini di un territorio privo purtroppo oggi di coordinate e di direzione strategica.

Concludo .

Mi pare che la sfida a tornare a ragionare su Matera al di la’ delle banalità sua diaspora arcaica e barbarica fra province,sia stata lanciata con tre interlocuzioni di valore.

Credo sia il caso di farne occasione per una nuova forte riflessione che vada oltre il già detto, il già letto, il già vissuto.

Leggevo una riflessione di Recalcati su nostalgia e depressione (mi riferisco all’autore di uno splendido libro – il complesso di Telemaco – sulla “morte” dei padri e sulla orfanità dei figli in un tempo senza guide).

Avere nostalgia non è il riflesso passivo di un abbandono ne una malattia dell’anima.

Mentre nella depressione” la vità è vita morta, senza futuro, senza speranza”, la nostalgia “non rende la vita prigioniera del passato… non chiude le porte alla vita” perché “lo sguardo che si rivolge all’indietro non svuota la vita ne nel suo presente ne nel suo futuro”.

Anzi rivela un “amore insaziabile della vita,di tutta quella vita che si è sedimentata nelle cose, nei luoghi, nei volti, nei profumi, nei suoni, nelle immagini del nostro passato”.

Non sembri interessata questa conclusiva evocazione! è assolutamente vera .

Essa pretende che nuovismi, dilettantismi, piccole e medie arroganze lascino spazio ad uno sguardo nuovo.

Dio solo sa quanto Matera, più che di introspezioni animistiche, abbia bisogno di un recupero di verità e di coraggio, di un tempo di ricostruzione che rimetta in piedi una più sobria valutazione in sede storica sia dei torti che dei meriti, recuperando una misura che sconfigga la dismisura morale con cui spesso vengono giudicate le nostre fragili storie personali.

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