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CINQUE mesi difficili in cui però la violenza, gli abusi sia fisici sia psicologici hanno avuto un ruolo non determinante. E’ il racconto che in oltre quattro ore di audizione Greta Ramelli e Vanessa Marzullo hanno fatto ai pm della Procura di Roma chiuse in due stanze della caserma del Ros in via Salaria. Al termine del quale le ragazze hanno fatto ritorno a casa.

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Proprio una volta raggiunta la sua abitazione a Verdello in provincia di Bergamo, Vanessa Marzullo ha voluto tranquillizzare tutti anche se solo sussurrando poche parole tese a ringraziare «tutti quelli che hanno lavorato» per il rilascio suo e dell’amica Greta «e tutte le persone che hanno pregato per noi». Poche parole per poi lasciare spazio al padre che ha incontrato brevemente i giornalisti in attesa fuori dalla casa. «Non ci ha chiesto scusa – spiega – perchè c’era poco da scusarsi….». Per quanto riguarda la prigionia invece «non si possono raccontare 5 mesi in un paio d’ore – sottolinea – lasciateci riposare qualche giorno poi sarà lei stessa a raccontare tutto».

IL RACCONTO DELLA PRIGIONIA – Una ricostruzione che restituisce il «percorso di sofferenza» che le due cooperanti liberate in Siria hanno dovuto affrontare dal 31 luglio dell’anno scorso. «Non abbiamo mai ricevuto minacce dirette di morte – hanno spiegato agli inquirenti che su questa vicenda hanno avviato una indagine per sequestro di persona con finalità di terrorismo – non c’è stato un uso sistematico della violenza. Ci sono stati momenti difficili, anche di sconforto ma mai di forte pericolo».

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Per chi indaga la «carcerazione» delle due ventenni è stata portata avanti in un clima sostanzialmente accettabile rispetto ad altri sequestri di cittadini italiani in scenari di guerra come ad esempio in Libia. Greta e Vanessa in questi 5 mesi sono state tenute in varie prigioni nella zona a nord della Siria e, parlando con gli inquirenti, hanno sottolineato che i loro carcerieri erano sempre a volto coperto. 

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Le due ragazze non avrebbero quindi potuto fornire elementi utili per poter eventualmente identificare i loro banditi. L’area dove si è consumato il sequestro sarebbe di influenza del gruppo di ribelli che operano sotto la sigla di Al Nusra, di fatto il ramo siriano di Al Qaeda. E lo stesso ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, nella sua informativa alla Camera, ha sottolineato che «nel corso di questa vicenda si è poi sviluppata come di consueto una sorta di guerra mediatica fra i gruppi terroristici che non esitano a fare opera di disinformazione, attribuendosi rivendicazioni e facendo filtrare indiscrezioni prive di fondamento. Attorno a questo sequestro è gravitata un’ampia serie di personaggi che hanno tentato a più riprese di accreditarsi come mediatori e dalla cui attività di intossicazione si deve una impropria azione di vero e proprio depistaggio, con riferimenti iniziali all’Isis, minacce agli ostaggi e supposti riscatti». 

Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Sergio Colaiocco e Francesco Scavo, che al termine dell’atto istruttorio hanno proceduto alla secretazione dei verbali, hanno chiesto alle due se avessero notizie su padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato nel luglio del 2013 sempre in Siria. «Su questo punto – hanno riferito – non possiamo fornivi notizie, perché non sappiamo nulla». Una risposta simile è giunta anche in merito al pagamento di un riscatto per la loro liberazione. 

LA POLEMICA SUL RISCATTO – La liberazione delle due ragazze ha provocato anche una polemica sul possibile pagamento di un riscatto. Pronta la replica del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: «Solo illazioni, l’Italia è contraria al pagamento di riscatti».

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Ma la polemica politica è montata comunque. Per Lega e Cinquestelle, il ministro non ha in realtà risposto sul riscatto. E i partiti di destra hanno sostenuto che occorre
porre un freno a chi si mette in situazioni di pericolo. 

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