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POTENZA – Più che il fatto che da dicembre del 2012 sia stato eliminato l’obbligo di rendicontare le spese di rappresentanza sostenute, vale il passo indietro di chi ha evitato di ricandidarsi.

E’ quello che sostiene la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza, con cui lo scorso 19 dicembre ha annullato, con rinvio al Tribunale di Potenza, l’ordinanza di divieto di dimora nel capoluogo per l’ex consigliere regionale Agatino Mancusi (Udc).

Di recente le ragioni della decisione sono state depositate in cancelleria da Francesco Paolo Gramendola, consigliere estensore della sesta sezione penale presieduta da Tito Garribba (componenti Francesco Serpico, Anna Petruzzellis ed Ercole Aprile).

Ora quindi spetterà al Riesame adeguarsi a quanto stabilito, pronunciandosi a riguardo dopo aver convocato le parti per una nuova discussione.

Dei motivi di ricorso presentati dall’avvocato che assiste Agatino Mancusi, il salernitano Paolo Carbone, secondo gli ermellini del Palazzaccio l’unico realmente fondato  sarebbe il primo.

Per Carbone la decisione del Riesame che aveva accolto l’appello della Procura contro la revoca del divieto di dimora nei confronti dei consiglieri raggiunti dalla misura cautelare che avevano restituito al Consiglio i rimborsi contestati sarebbe stata illegittima. Un errore dovuto «all’abnorme affermazione che solo le dimissioni dalla funzione di consigliere regionale avrebbero potuto spezzare il legalme tra l’ufficio, esercitato su voto popolare e la capacità di approfittarne in maniera illecita, in tal modo violando il principio della divisione di poteri e operando un’interferenza nell’esercizion del diritto di elettorato attivo e passivo».

Più avanti in realtà, dichiarando fondato il motivo di ricorso, lo stesso magistrato sembra contraddirsi dal momento che scrive che «invero (…) da apprezzarsi come elemento nuovo sopravvenuto» è un documento del 29 novembre con cui Mancusi ha avidenziato di «non essere presente tra i candidati che hanno concorso alla elezione della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Basilicata del 17 e 18 novembre».

Insomma da una parte dice che è fondato il ricorso sull’abnormità dell’affermazione che solo le dimissioni dalla carica di consigliere possono neutralizzare il rischio di altre deviazioni dal corretto utilizzo dei rimbosi, ma dall’altra «apprezza» la mancata candidatura. Circostanza – quest’ultima – che «impone una rivalutazione del quadro cautelare che i giudici dell’impugnazione hanno fondato sulla convinzione che nonostante l’abolizione dell’obbligo di rendicontazione (…) l’indagato possa destinare a finalità diverse le somme mensilmente corrisposte per l’esercizio del suo mandato».

Un altro argomento a cui i giudici del lungotevere non sembrano muovere una vera e propria censura per quando lo citino ripercorrendo il ragionamento svolto dal Riesame presieduto da Gerardina Romaniello.

«L’ordinanza impugnata va dunque annullata – conclude la sentenza – e gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Potenza che nel demandato nuovo esame provveda a rivalutare alla stregua del documento prodotto dalla difesa il quadro cautelare nei confronti del ricorrente».

Ma se le cose stanno così, niente di più probabile che martedì prossimo anche per gli altri ex consiglieri che attendono l’esito dei loro rispettivi ricorsi arrivi una decisione del genere.

A quel punto l’unico a dover temere qualcosa resterebbe Paolo Castelluccio(Pdl), che invece alle scorse regionali non solo si è candidato ma è anche riuscito ad essere rieletto.

l.amato@luedi.it

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