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Pubblicato sul Canale interviste di Architetto.info il 23 giugno 2014

 

Un reportage nitido e oggettivo di chi vive e lavora al Sud, fra potenzialità e debolezze, presunte e reali. Ne emerge un quadro intenso, sincero e diretto, fra esperienze personali di lavoro sul territorio e commesse estere. In tre puntate incontriamo altrettanti protagonisti del mondo dell’architettura: iniziamo con Mattia Antonio Acito (studio Acito & Partners, Basilicata).

Base locale, ma con occhi e attività progettuali nel mondo, passando per Russia, Cina e Montenegro. Il tutto condotto lontano dai luoghi canonici dello star-system italiano. Quanto ha inciso la sua scelta di rimanere a vivere ed operare nella città in cui è nato, anche a fronte di una situazione di contesto difficile, ma con evidenti potenzialità?

Noi ragazzi di Matera, finito il Liceo nel 1977, dovemmo scegliere la disciplina universitaria e la città dove “migrare”. Questa scelta (in quegli anni obbligata) ci impose di misurarci con culture locali diverse, da studenti meridionali. Io scelsi Architettura e Firenze. Partii da Matera, città con ancora impressa sulla pelle il marchio di “Capitale del mondo contadino” (per gli intellettuali) e di “Vergogna Nazionale” (per la politica). I Sassi erano abbandonati; noi andavamo lì con un po’ di paura e di curiosità, ma sentivamo già gli adulti colti battersi per il loro giusto riscatto, che avverrà con la “Legge dello Stato 771/86 per il recupero dei rioni Sassi di Matera”. Faccio questa premessa per collocare la mia preparazione che, guardando al centro storico di Firenze, vedeva possibile il recupero del cuore antico materano. Sono della generazione di nuovi architetti che, per casualità temporale, si è trovata ad avere l’opportunità di mettere in pratica le basi teoriche studiate. Non c’era tradizione professionale da seguire, ma c’erano i mastri muratori che il tufo lo avevano cavato e messo in opera già da bambini. Avevamo l’apprendistato (così diremmo oggi) sul campo e, con grande responsabilità, portammo energie nuove, con l’entusiasmo di chi aveva visto che il recupero era possibile ed era anche bello.

Tornai a Matera e aprii a 24 anni il mio studio di architetto “condotto”, come mi definirà Renzo Piano, con cui ho avuto la fortuna di sognare i Sassi recuperati a nuova vita. Racconto questo per dire che io, figlio di professionisti locali, ebbi il modo di capire che si poteva fare l’architetto anche qui senza sentirsi culturalmente isolati, anzi, pensando che la forza evocativa delle architetture rupestri rappresentasse la palestra dove imparare, studiare, sognare. Da qui la caparbia disponibilità a cercare tutte le occasioni per andare in qualsiasi luogo del mondo senza paure né di lingue, né di culture. Iniziarono i concorsi, gli incontri con altri architetti, e crebbe la convinzione, con alcuni progetti ben valutati, che stavo facendo il più bel lavoro possibile, che i miei sogni non avevano confini fisici ma, al contrario, necessitavano di continui stimoli. Se una rivista di architettura s’accorgeva di noi, certo ci gratificava, ma non credo di aver mai tramato per farmi notare da chi, in fondo, non voleva vedere che, anche nel Sud più profondo, si lavorava e si lavora con la forza e l’organizzazione di seri studi “più visibili”. Abbiamo avuto indubbiamente meno pagine patinate, ma maturato la coscienza di aver contribuito al recupero materiale e culturale della terra dei nostri padri. Ancor oggi, dal mio studio, guardo i Sassi che sono stati e sono la fonte creativa dei miei progetti esteri, da Pechino a Monterey, da L’Avana a Mosca o in Montenegro.

Lavorativamente, lei è stato impegnato nella riscoperta e valorizzazione dei Sassi di Matera, patrimonio dell’umanità dell’Unesco dal 1993 e città candidata a Capitale europea della Cultura 2019. Quali sono stati i punti di forza e di debolezza con i quali si è confrontato localmente, fra abbandono e riscoperta? In relazione anche con altri centri storici di realtà internazionali con i quali si è misurato, come per esempio L’Havana, quali strategie ha recepito e trasmesso nella sua attività lucana, e viceversa?

Quando visitai per la prima volta l’Avana, non potei non mettere in relazione, in una mia lucida follia culturale, la promiscuità riscontrata nei grandi palazzi del Malecón con quela dei palazzotti nobiliari 700eschi dei Sassi di Matera. I primi erano passati dall’ospitare vite lussuose di ricchi americani, a essere alveari per decine di cubani, che ne occupavano le stanze vivendo lì con figli e animali, così come accadde a Matera, vissuti da una popolazione contadina povera e numerosa che ne condivideva lo spazio con i “preziosi” animali, unico mezzo di locomozione per raggiungere i campi. Vidi ciò che non avevo mai vissuto, io, figlio di professionista che, uscito dai Sassi, avevano dato a noi una casa bella, pulita, asciutta. Ho visto con in miei occhi ciò che avevo solo letto nei libri di Levi e lo avevo visto a 10.000 Km di distanza. Ho condiviso con Eusebio Leal, historiador de l’Avana, l’idea di un confronto tra due realtà, diverse sì nelle forme fisiche, ma uguali in fondo nella difficoltà di vita. È nato così il progetto “Materavana”, folle e magnifica esperienza di scambio e di crescita. Ho intuito che alcuni valori, quali la condivisione degli spazi comuni (le camere urbane), potevano essere linfa per progetti di “sostenibilità” che iniziavano a essere richiesti anche, per esempio, dalla civile California. Ho immaginato un brano di città a Monterey, oggetto di un concorso internazionale, come un luogo di vita per americani che valutasse come sostenibile non solo il recupero dell’acqua e dell’energia del sole, ma, anche, il “vivere sociale” e il condividere spazi comuni, dove per spazio non si parlava più solo di stanze e volumi, ma di piazzette, corti e aria. I giornali locali, salutando il lusinghiero risultato del concorso, scrissero de “I Sassi in America”! Mi attribuirono un merito che sapeva tanto di atteso riscatto culturale. Forse era troppo, ma quel progetto valeva per me come una luce di una “stella di un sistema”.

A Pechino, negli anni che precedettero la “vandea” distruttiva abbattutasi sugli hutong per far posto ai grattacieli International style, mi sono trovato a parlare dell’importanza di salvare la storia, fino al punto di proporre una “Cristal Box”, una moderna teca trasparente dove racchiudere una preziosa architettura cinese ormai circondata da anonimi palazzoni in acciaio. Follia visionaria o profonda convinzione? E chi, se non la mia terra, mi ha condotto a formulare tale proposta?

In un Montenegro invaso da valigie di rubli che tutto potevano e tutto avevano, ho proposto di realizzare il progetto “Green Hospitality”, in cui piccole case, riunite in un modello di villaggio mediterraneo, avrebbero potuto ospitare chi desiderasse speciali cure sanitarie in una cornice wild beauty. Ancora una volta, la mia matita seguiva le tracce di un’architettura percorsa a piedi nei Sassi e nei paesi del Sud, dove anche la salute veniva condivisa in una sorta di convalescenza, fatta sì di cure mediche, ma anche di parole e di partecipazione.

Secondo le recenti stime Inarcassa, il reddito medio degli architetti operanti in Basilicata è di 18.412 euro, in calo del 17.7% rispetto al 2007.  In tale scenario, quanto è difficile lavorare localmente, nonostante la presenza di Fondi strutturali Europei, anche destinati al recupero dei Sassi materani?

Io non so quale sia il reddito medio, lo apprendo dalla domanda postami. So che oggi è difficile per tutti, e se a Milano si soffre la mancata uscita a cena, qui a Matera io soffro per non poter dare lavoro ai neo laureati che, come feci io, tornerebbero a vivere qui dopo gli anni universitari. Fondi strutturali, aree obiettivo 1, politiche promettenti, sappiamo che ci sono ma, concretamente, non abbiamo contezza. Soffriamo della scarsa presenza d’imprenditori pronti a fare la loro parte, forse demotivati un po’ per cultura e un po’ per disillusione. I Sassi sono ormai visitati da turisti di tutto il mondo e questo appaga i “modesti” politici e professionisti, ma noi sappiamo che tanto c’è ancora da fare e che tanto ancora possono dire. Matera è oggi tra le 6 città finaliste candidate per essere la Capitale Europea della Cultura 2019. A mio avviso, è giusto che l’Europa la adotti, perché, solo chi ci guarda con occhi lucidi può emozionarsi all’immateriale, forza dei segni del tempo.

 

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