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 «UN tempo si preparavano di notte. Ma mica soltanto le pastiere, si preparavano anche i biscotti, quelli con il finocchio o “gli ossi di morto”. Si lavorava tutta la notte perché poi la mattina si portavano a cuocere nel forno. Ci si metteva in fila come gli altri e si cuocevano nei forni a legna biscotti e pastiere. A Tito c’è ancora chi lo fa». Gina e Vittoria Lovaglio, mentre impastano, mescolano e dosano, si fermano ogni tanto per raccontare. 

La loro è una tradizione familiare, prima di Pasqua e di Natale le sorelle Lovaglio si riuniscono e preparano i dolci della loro tradizione, quelli che preparavno da ragazze, «di notte anche noi, perché c’erano i fratellini più piccoli. Noi lavoravamo tutta la giornata, poi tornavamo a casa e aspettavano le 21.30, quando loro andavano a letto. Avevamo paura che potessero farsi male, i bambini non devono stare intorno quando si cucina». 

Un’intera notte a impastare e riempire, «certe volte – dice Vittoria – ero così stanca che dicevo a mamma: “l’anno prossimo non dobbiamo fare proprio niente”. E invece poi ogni volta che c’è una festa siamo sempre qua a preparare pastiere, panzerotti, biscotti». Un modo per stare insieme, un momento per le donne di casa – perché tanto sono sempre loro a “ mettere le mani in pasta” – per farsi una chiacchierata, una risata. E questo non significa che non si lavori: di pastiere ieri, dal forno di Gina, ne sono uscite più di quindici. E lo capisci subito, entrando in casa, che in quella cucina si lavorerà più che in una pasticceria. 

Su un mobiletto sono poggiate decine di uova, almeno quattro panetti di butto, diversi sacchetti di farina e di zucchero. Ma il profumo è dovunque e i dolci di Gina sono famosi: quelle pastiere infatti verranno distribuite tra le diverse case della numerosa famiglia. «A me piace fare i dolci – dice Gina – che poi se non facciamo più niente si perdono anche le tradizioni». «Anche se – replica Vittoria – a questi giovani non piace più niente. Io ora la faccio questa pastiera, ma mio figlio neppure la assaggerà, neanche per darmi la soddisfazione di dirmi che è venuta bene». Ma non fa niente, la pastiera è il simbolo stesso della tradizione e va fatta. 

Così come domattina Gina, insieme all’altra sorella Angela, si rimetterà all’opera per preparare anche un’altra specialità tipica: la pizza rustica. Perché anche la preparazione di questi piatti ha un preciso calendario: la pizza rustica prevede, tra gli ingredienti, la salsiccia. Ma il venerdì santo la carne è vietata. E così il giovedì è dedicato alla pastiera – per far amalgamare bene tutti i sapori e profumi è meglio mangiarla dopo qualche giorno, quindi per la domenica di Pasqua si prevede la perfezione – e il sabato alla pizza rustica, che non può invece stare troppo tempo prima di essere mangiata.

 Un tempo – parliamo di quando il lavoro era nei campi e le tavole non erano imbandite ogni giorno – la domenica di Pasqua veniva preparata con diversi giorni di anticipo. Era una grande festa per due motivi: la fine della Quaresima e dei digiuni e, in secondo luogo, questo periodo segnava l’ingresso della primavera, il risveglio della natura e della terra, considerata ancora fonte di ricchezza. E la ricchezza era nelle cose povere, come le uova e la farina. E il grano. Quello che oggi troviamo già cotto nei vasetti, ma che un tempo si cuoceva per ore nel latte, finchè non si sfaldava completamente. 

«C’è pure chi, per fare prima, non fa neppure la pasta frolla, la prende al supermercato già fatta. Però che gusto c’è? Almeno quella va preparata a casa». E così le sorelle si ritrovano insieme – per fortuna di mattina e non più di notte – e tra un caffè e una chiacchiera si tiene fede a un’antica tradizione. 

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