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POTENZA – Si aspettava il deposito della consulenza sui campioni prelevati a febbraio, già prorogata almeno tre volte. Invece è arrivata la nomina di un nuovo consulente, che ieri mattina si è presentato ai cancelli del Centro oli di Viggiano assieme ai carabinieri e al pm Francesco Basentini, per ripetere i prelievi dalle vasche di raccolta dei reflui di produzione. Mentre altri avvisi di garanzia venivano notificati agli 11 indagati per traffico di rifiuti, con l’invito a nominare un loro consulente per assistere agli accertamenti.
Non mollano la presa gli inquirenti della Procura di Potenza che hanno aperto un fascicolo sull’inquinamento dell’impianto dell’Eni in Val d’Agri.
L’esperto appena nominato dal pm Francesco Basentini è Mauro Sanna, un chimico industriale già salito alla ribalta delle cronache a settembre del 2011, quando venne incaricato assieme ad altri due tecnici di effettuare una perizia chimica sui veleni dell’Ilva di Taranto.
I PRECEDENTI
Infatti è proprio dai loro test che nel giro di qualche mese sono emerse le prove dell’avvenuta dispersione in atmosfera di sostanze pericolose sia per la salute dei lavoratori sia per la popolazione di Taranto e dei centri vicini. In più: scarse misure di sicurezza, «emissioni non convogliate» e una «quantità rilevante di polveri rilasciata dagli impianti, anche dopo gli interventi di adeguamento». Tutti elementi trasfusi nel provvedimento poco dopo è stato disposto il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, dell’area a caldo dell’Ilva e gli arresti domiciliari per 8 tra proprietari e dirigenti del siderurgico. Nonostante all’epoca del campionamento i valori di emissione delle sostanze velenose prese di mira fossero nei limiti di legge.
Sanna a luglio dell’anno scorso era stato incaricato, dal pm Sergio Marotta, anche di un’altra consulenza molto delicata sulla Siderpotenza, l’impianto del Gruppo Pittini che da anni è l’incubo di tanti cittadini del capoluogo, e in particolare del quartiere del terremoto: Bucaletto.
Da allora l’inchiesta è passata al pm Basentini, come accaduto per il caso “Eni-Tecnoparco”, ma si attende ancora di sapere quali sono state le conclusioni della magistratura.
L’ACCUSA
Per i militari del Noe dei carabinieri e gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia potentina, Basentini e Laura Triassi, sull’affare dello smaltimento delle acque di produzione del Centro oli dell’Eni di Viggiano si sarebbe innescato un vero e proprio traffico illecito di rifiuti diretto al depuratore di Tecnoparco Valbasento.
Per questo in 11 sono finiti iscritti sul registro degli indagati tra i quali il responsabile del distretto meridionale dell’Eni, Ruggero Gheller e uno dei progettisti del Centro oli, Stefano Maione. Assieme ai vertici di Tecnoparco, la società a capitale misto pubblico e privato nata per offrire servizi alle aziende dell’area industriale di Pisticci, che poi ha aperto le porte anche ai rifiuti provenienti da altre zone della Basilicata e non.
Si tratta dei potentini Faustino e Michele Somma, padre e figlio, che è anche presidente degli industriali lucani. Un cognome legato anche alla nascita della Siderpotenza, prima di una serie di passaggi di proprietà.
Con loro ci sono il direttore di Tecnoparco Nicola Savino, due dipendenti Domenico Scarcelli e Saverio Frulli più alcuni dei nomi che ritornano più spesso nelle società del loro gruppo, come Giulio Spagnoli. Più un noto costruttore materano, Giovanni Castellano, titolare di un’impianto per lo smaltimento di fanghi industriali a Guardia Perticara, e già coinvolto in un’altra inchiesta sulla gestione dei rifiuti urbani del bacino “Potenza centro”. Quindi Gaetano Santarsia, commissario del Consorzio per lo sviluppo industriale di Matera, titolare della quota di maggioranza relativa di Tecnoparco, e Massimo Orlandi, l’ex amministratore delegato di Sorgenia, società del gruppo De Benedetti presente a sua volta nel capitale di Tecnoparco, dimissionario soltanto da luglio dell’anno scorso.
LE EMISSIONI
Un secondo filone dell’inchiesta riguarda le emissioni in atmosfera del Centro oli dopo la fiammata anomala di gennaio. Per questo ad aprile i carabinieri del Noe hanno acquisito tutti i dati delle centraline dell’Eni che monitorizzano in continuo quanto viene emesso in atmosfera: sia quello “grezzo” sia quello certificato da una società di Potenza che in caso di superamento delle soglie autorizzate andrebbe auto-denunciato in Regione. Ma il sospetto degli inquirenti è che non sempre questo sia avvenuto, e anche i codici attribuiti ai reflui di produzione non siano stati sempre fedeli alle sostanze contenute.
Accuse che Eni e Tecnoparco hanno già respinto con decisione.

 

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