X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

POTENZA – Se gli ultimi mesi del 2013 non fanno che confermare il quadro di difficoltà crescenti per il tessuto economico locale, le previsioni occupazionali per l’arco temporale che va dal 2013 al 2017, oltre a qualche luce, contengono anche molte ombre. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto sull’economia lucana elaborato dal Centro Studi della Uil, che verrà presentato alla stampa questa mattina, nella sala A del Consiglio regionale. Questa volta, la nota, oltre ad analizzare i principali indicatori economici dei mesi passati, traccia anche una tendenza della domanda di lavoro attesa per i prossimi cinque anni. Lo scopo rimane quello che il Centro Studi,  braccio operativo della Uil, si è dato fin dalla sua costituzione: una base proposte per contribuire alla pianificazione dello sviluppo lucano. Non perdendo di vista la sfida che la regione si trova a vivere: o si cambia marcia o si va verso il il declino irreversibile. La fase è di quelle delicatissime. Soprattutto in vista di due appuntamenti  che le Regione ha di fronte: la nuova programmazione di fondi comunitari e la “ricontrattazione” a Roma delle compensazioni legate alle attività estrattive. Risorse che – a parere del sindacato – devono essere tutte indirizzate al sostegno di azioni di rilancio della basi imprenditoriali e occupazionali.

Nuovi “investimenti” da accompagnare, necessariamente, a una qualità amministrativa che ha molto da farsi perdonare rispetto al passato.

Gli ultimi mesi del 2013

Nella parte finale dell’anno trova conferma il deterioramento del tessuto produttivo ed occupazionale della regione, con numeri ancora più negativi rispetto a quelli che hanno caratterizzato la prima parte dell’anno. 4.700 occupati in meno, che si aggiungono agli 11 mila posti persi dall’inizio della crisi fino al 2012. La disoccupazione raggiunge il 16, 6 per cento. Il tasso di attività, fermo al 46, 27 per cento, raggiunge il suo minimo storico dal 2010. 102 aziende in meno rispetto al trimestre precedente. Un sensibile aumentano della cassa integrazione. I livelli produttivi delle imprese restano per lo più invariati, ma i fatturati denotano andamenti molto negativi. In quadro sostanzialmente negativo.

Le previsioni occupazionali 2013-2017

Lo studio analizza l’evoluzione della domanda di lavoro su fonte Excelsior, sulla base delle evoluzioni del mercato del lavoro. Facendo distinzione tra quelli che sono i nuovi ingressi nel mercato del lavoro, e quelle che invece possono essere considerate sostituzioni per pensionamento. E il primo dato, non proprio roseo, è questo: nel periodo preso in considerazione il fabbisogno espresso dalle imprese sarà essenzialmente del secondo tipo. La domanda di vero nuovo lavoro conoscerà una lieve crescita solo nel 2017. «Un flusso occupazionale debole e lento – conclude il Centro Studi – determinato da una previsione di riassorbimento dei lavoratori in Cig». Le entrate più sensibili si registreranno soprattutto nel settore dei servizi (soprattutto quelli legati all’offerta turistico culturale), e non tanto dell’industria (va meglio il settore legato alle estrazioni). Sarà, ancora una volta, soprattutto il pubblico impiego ad assorbire i nuovi occupati. I profili maggiormente interessati dalla domanda di lavoro saranno quelli di medio-bassi. Tra i laureati andranno meglio quelli con profili altamente specializzati.

Le proposte del Centro Studi

Le proposte elaborate dal Centro Studi, che cerca di fare da pungolo alla programmazione regionale, riguardano soprattutto il lavoro. Alcune derivano dalla piattaforma unitaria che la Uil, insieme a Cisl e Cgil ha elaborato nel Piano del lavoro regionale. Due gli assi d’intervento. Da una parte le misure per fronteggiare le varie emergenze, dall’altra misure di politiche attive del alvoro per la creazione di nuova occupazione. Quindi – rispetto alla prima sfera – nuovi ammortizzatori sociali in grado di ridurre gli effetti della disoccupazione, accompagnati da interventi per il reimpiego o temporaneao impiego nella sfera dei servizi sociali, pubblici e di riqualificazione del territorio. Per quanto riguarda invece il secondo campo di interventi, un piano di rilancio dell’occupazione sostanzialmente in accordo con le linee guida dei documenti europei. In primo luogo attraverso una “mappatura” di quei posti di lavoro che spesso rimangono scoperti per mancanza di manodopera qualificata. Anche attraverso un rafforzamento delle strutture pubbliche dedicate a creare lavoro: un servizio del lavoro integrato, anche con le agenzie private. Una forte azione di stimolo ai privati, in una regione in cui il pubblico fa ancora da padrone. Decisiva è la destinazione delle risorse derivanti dal petrolio e dei fondi Ue per sostenere le azioni di rilancio delle basi imprenditoriali e occupazionali. Il sindacato ribadisce l’idea di una regione “più aperta”, ben integrata con le altre regioni, «più efficiente, e moderna nell’economia pubblica e privata». Infrastrutture fisiche e immateriali, qualità amministrativa, vantaggi localizzativi, creatività e innovazione: sone le parole d’ordine che il Centro Studi torna a ribadire anche in questa occasione.

UNIVERSITÀ, 40 MILIONI ALL’ANNO PER FAR STUDIARE I FIGLI FUORI. E IL 40% NON TORNA PIÙ

Su uno studente che sceglie di studiare presso l’Univesità di Basilicata, ben cinque colleghi preferiscono andare altrove, a formarsi in altri atenei. La note del Centro Studi Uil che verrà presentata alla stampa questa mattina contiene anche un interessante approfondimento sugli studenti universitari lucani. Lo studio, basato su fonti Miur, Almalaurea e Federconsumatori analizza, nella sua prima parte,  le dinamiche relative agli anni 2012 e 2013. In questo periodo i laureati all’Uniba s sono stati circa 700, di cui 400 donne. Contro i circa 3.000 (2.000 studentesse) che, invece, nello stesso periodo, si sono laureati fuori regione. Nell’ateneo lucano, l’età media di conseguimento della laurea è di 27 anni. Di questi, a un anno dalla laurea, circa il 40 per cento non ha mai lavorato. Mente il 33 per cento ha partecipato ad attività di formazione post laurea. Dai dati a disposizione emerge che rispetto ad altri studenti del Sud, i lucani impiegano più tempo per laurearsi. E che la formazione posta laurea è la più bassa rispetto a Campania, Puglia e Calabria. Di segno opposto invece il dato di chi non si forma  e non lavora (Neet) che resta il più alto in Basilicata.

Altra cifra “sensibile” è quella relativa al tipo di occupazione. Il 30 per cento circa dei  laureati più facilmente trova impiego nel settore pubblico (dato doppio rispetto a quello della Campania).

Per quanto riguarda, invece, i tre mila studenti lucani che si sono laureati altrove, il Centro Studi Uil ha elaborato una sorta di sistema di misurazione dei costi sostenuti dalle famiglie, sulla base dei dati 2011 della Federconsumatori. Studiare in uno degli atenei del  Centro Nord (mete preferite degli studenti lucani fuori sede) significa spendere circa 10.000 euro all’anno. Se a queste spese si aggiungono le altre  relative a materiale didattico e i cosiddetti costi alimentari e di socialità  socialità, se ne deduce che ogni anno la Regione perde 40 milioni di euro che vengono portate altrove.

Ne deriva, dunque, un doppio danno in termini economici derivante dall’export di talenti e competenze: al costo  derivante dalla perdita dal capitale umano e sociale che nella maggior parte si stacca in maniera definitiva dal sistema locale per andare a creare ricchezza altrove, si aggiunge la spesa complessiva che le famiglie sostengono per gli studi in altri atenei.

Anche in questo caso, il Centro Studi della Uil avanza la sua proposta, pure sulla scorta di quanto è stato fatto in altre regioni: un progetto, sulla scorta di quello denominato “Re-Turn”, che nasce con l’obiettivo di creare le condizioni per il mantenimento del acpitale umano e la fuga dei cervelli. Che vede insieme Università, enti locali, centri di innovazione di vari Paesi europei.  A casa nostra progetti che vanno in questa direzione può essere considerato l’accordo di collaborazione Campus Biomedico di Roma e Regione. Così come altri due campi fertili potrebbero essere quello dell’infrastrutturazione digitale e del data center potenzialmente realizzabile nell’ambito degli interventi Eni in Val d’Agri.

m.labanca@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE